venerdì 8 maggio 2015

L'incredibile verità su Flavio Gioia, il fantomatico inventore della bussola per navigare



                         
 

    Che il personaggio di Amalfi fosse in realtà inesistente ce lo ha mostrato la medievalista Chiara Frugoni con le sue dettagliate ricerche documentarie, già diversi anni fa.  Quanto meno curiosa è però la spiegazione che solitamente si dà del nome Flavio il quale sarebbe sorto da un equivoco, stando a quanto riesco a capire da siti web.  L’umanista Flavio Biondo (XIV-XV sec.) fu il primo ad affermare in un suo scritto che l’invenzione della bussola si ebbe ad Amalfi. Ma forse sarebbe meglio supporre che egli fu solo il primo a registrare una tradizione che quasi certamente durava da molti secoli. Ad ogni modo un altro umanista, Giovambattista Pio, avrebbe riportato in un suo scritto l’espressione usata dal Biondo in questa forma: Amalphi in Campania veteri magneti usus inventus a Flavio traditur.  Il significato più semplice dell’espressione dovrebbe essere questo: Si tramanda che l’uso della bussola fu scoperto ad Amalfi in Campania da (un certo) Flavio.  Ma è possibile anche l’altra interpretazione che fa di Flavio non il supposto inventore della bussola magnetica, ma l’umanista stesso Flavio Biondo. E allora il significato della frase sarebbe: E’ tramandato da Flavio (Biondo) che l’invenzione della bussola magnetica  si ebbe ad Amalfi in Campania.  Da questo equivoco sarebbe quindi nato il nome Flavio del nostro fantomatico scopritore della bussola[1]

    Si potrebbe forse chiarire meglio l’equivoco se possedessi i testi e i contesti originali dei due umanisti, ma tuttavia mi sembra quasi impossibile che questo nome Flavio, relativo all’inventore ma molto probabilmente indicante in origine proprio la bussola, come sosterrò, si sia sviluppato nei tempi dell’Umanesimo, quando invece l’uso dello strumento, anche se forse non posseduto da tutti i naviganti, va a perdersi in epoche lontane  raggiungendo ipoteticamente anche i Cinesi del III millennio a.C.  Un suo uso certo nel Mediterraneo è attestato comunque intorno all’inizio del secolo XII d.C.   E quindi è naturale pensare che esso, lo strumento, avesse avuto uno o più nomi  circolanti in passato magari solo in ambiti marinareschi e arrivati fino a noi per vie che sono quelle solite degli incroci con altre parole simili nella forma che ne stravolgono però il significato di superficie.  Un’altra considerazione a favore di una tradizione più o meno popolare di lontana origine è il fatto che il nome Flavio è accompagnato dal presunto cognome Gioia, che  deve essersi prodotto anch’esso prima dell’età dell’Umanesimo, almeno stando all’analisi della parola che fra poco proporrò come causa scatenante di tutta questa storia, parola che contiene le due radici generatrici dei due nomi Flavio e Gioia, da ritenere quindi una coppia inseparabile formatasi contemporaneamente.  Ma la parola gioia ‘bussola’[2]  attesta, a mio parere, anche una circolazione autonoma di uno dei due nomi col valore di ‘bussola’ appunto.  E nulla vieta, in effetti, che anche il nome Flavio potesse circolare autonomamente.  Come ho mostrato altre volte, gli studiosi di linguistica fanno poca o punto attenzione alla capacità mitopoietica delle parole stesse, le quali innescano spesso giochi di specchi e di rimandi che confondono irrimediabilmente la mente di chi non è attrezzato per decifrarli nella giusta maniera.

    Nelle mie varie scorribande etimologiche mi è capitato  di incontrare una parola che, provenendo dal greco, ha dato come esito gioia, attraverso alcune normali trasformazioni fonetiche . Si tratta del gr. dí-aul-os ‘doppia corsa, andata e ritorno’ ma anche ‘stretto passaggio, stretto’ e al pl. ‘narici’.  I primi significati sono sotto l’influsso dell’avverbio gr. dís ‘ due volte, doppio’ ma gli ultimi indicano che il prefisso iniziale doveva essere gr. diá ‘attraverso, tra due parti’.  In fondo la distanza tra i due prefissi non era molta all’inizio.  La parola dovette incrociarsi anche con gr. diá-bolos che ebbe molta fortuna nel Cristianesimo come diavolo, l’antico avversario dell’uomo che semina discordia e separazione tra gli uomini, come è indicato dall’etimo che fa leva sul diá ‘attraverso’ di cui si è detto e sul verbo báll-ein ‘gettare’, dando luogo a vari significati, da quello di ‘passare, trapassare, oltrepassare’ a quello di ‘calunniare’. I due termini, col loro significato di fondo di ‘attraversamento’, erano quindi destinati a confondersi. Ecco perché in toponomastica si incontrano molti Ponti del Diavolo come d’altronde il Passo del Diavolo, in quel di Gioia dei Marsi, nella Marsica appunto[3].  Per quanto riguarda il nome del paese di Gioia dei Marsi, ho spiegato nell’articolo  Il diavolo non vuole lasciarmi citato alla nota 3, come da un originario diavolo o diaulo, indicante il passo montano, si sia passati prima a (d)jaulo con la caduta della dentale, quindi a jolo per contrazione del dittongo /au/, e poi, per la palatalizzazione della /l/, a joio e, per chiusura della vocale finale, a joië, reinterpretato a sua volta come gioia.  Il gentile lettore avrà la pazienza di andare a leggere o rileggere il suddetto articolo, se vuole una maggiore chiarezza per questi passaggi fonetici.  Il Ciolo o Giolo nel Salento (Santa Maria di Leuca),inoltre, è una profonda insenatura marina (una sorta di ‘passaggio’ dunque, e, nel contempo, un condotto, un tubo, una cavità) il cui nome è vanamente collegato, dall’etimologia popolare, al termine dialettale ciola  o giola che indica l’uccello noto altrove come ciàula ‘cornacchia, ghiandaia, ecc.’ senza contrazione del dittongo /au/. Quest’ultimo vocabolo è in rapporto anch’esso con l’originario diavolo come metto in evidenza nell’articolo suddetto.  

    Il secondo membro di dí-aul-os, cioè il semplice aul-ós, significa proprio ‘condotto, tubo, apertura, flauto’. Quest’ultimo significato di ‘flauto’ bisogna tenerlo a mente perché tornerà utile tra poco.  Il termine corradicale aul-ṓn significa ’tubo, condotto, canale, stretto di mare, gola, burrone, valletta, vallone’.  I due concetti di “cavità” e di “tubo” sono allora intercambiabili e possono agevolmente tramutarsi in quello di “scatola”, ad esempio. Alcune scatole non sono altro che un tubo chiuso in un’estremità e munito di coperchio nell’altra.  Così siamo costretti a renderci conto che concetti che ad un primo sguardo possono sembrare a qualche distanza tra loro, hanno in realtà la stessa matrice, anche se la specializzazione, molto aiutata dalla varietà dei nomi (significanti) con cui essi vengono espressi, sembra volerci convincere, appunto, del contrario. 

    Il fr. flageolet ‘piffero, zufolo’ viene dall’ a. fr. flajolet ‘piffero’, prov. flau-jol ‘piffero’. E così siamo arrivati al clou della questione.  In effetti il secondo membro –jol  di quest’ultimo termine è molto probabile che sia il nostro dí-aul-os ‘passaggio stretto’ di cui sopra, diventato jolo, gioia. Abbiamo visto che la componente aul-ós, da sola, vale anche ‘flauto’.  Secondo me è proprio il termine flau-jol ‘piffero’ (a noi noto attraverso il provenzale ma che doveva avere in antico una circolazione molto più ampia) che ha generato, in un colpo solo, il nome e il cognome del nostro personaggio amalfitano, presunto inventore della bussola: Flavio Gioia! Bisogna naturalmente ricordarsi che il concetto di “piffero, flauto” contiene anche quello di “cavità, scatola” e quindi di “bussola”, come abbiamo osservato in precedenza.  Solitamente si propone un latino parlato *flabeol-u(m), dimin. di lat. flabr-u(m) ‘soffio’, all’origine del termine, ma a me l’ipotesi non sembra accettabile, e do per scontato che esso è composto di due radici per ‘piffero,flauto’, flau-  e –jol. La prima si ritrova, a mio avviso, nel catalano flab-iol  o flav-iol ‘tipo di flauto’ e forse, in forma ampliata, nello stesso termine it. flauto, anch’esso fatto derivare dal prov. flaut.  Può anche darsi che da un originario *flauto-diaul-os si sia avuta una semplificazione (aplologia) con la caduta della sillaba -to-, che ha prodotto la forma *flau-diaul-os all’origine del prov. flau-jol e del catalano flav-iol. Ad ogni modo,qualunque ne sia l’etimo, a noi basta ed avanza notare, in merito all’origine del nome e cognome Flavio Gioia, che è possibilissimo che da flau-, flab- o flav- si sia avuto Flavio, anche per influsso della semivocale /j/ del secondo membro.  La voce flau-jol, una volta caduta in disuso perché evidentemente già sostituita dalla parola bussola, non scomparve, dunque, definitivamente dalla scena ma si adattò ad indicare l’inventore dello strumento.  Da notare che la costituente jol cerca di distogliere la nostra attenzione, camuffandosi da perfetto suffisso diminutivo nel corpo del composto tautologico flav-iol.  L’asserzione immotivata dello storico napoletano Scipione Mazzella (XVI-XVII sec.), secondo cui Flavio era originario della città pugliese di Gioia, conferma solo, a mio avviso, che questo nome Gioia accompagnava da sempre quello di Flavio. 

    Quasi certamente flau- è affine all’ingl. flue ‘tubo, condotto, canna d’organo’ di ignota origine, ma che a me sembra vicino allo stesso ingl. flute ‘flauto, scanalatura[4], sempre di origine franco-provenzale. Anche il gr. phloi-ós ‘corteccia, involucro’ potrebbe essere coinvolto, dato che fischietti e zufoli campagnoli erano spesso costituiti da cortecce sapientemente staccate intere da  un rametto d’albero, come avviene per il fischia-froce ‘specie di zufolo’ a Rocca di Botte-Aq[5] di cui parlo nell’articolo relativo citato nella nota 3, che consiglio di andare a leggere.  E’ molto interessante infine ricordare che in quel di Spinazzola-Ba la voce fresca-jol ha i due significati interconnessi di ‘fischietto’ e ‘vulva’, quest’ultima in quanto ‘fessura, cavità’[6].

    Non me ne vogliano gli Amalfitani che hanno innalzato una statua a questo immaginario loro concittadino, creatura eterea frutto del fiato incrociato delle parole.


[1]  Sinceramente mi pare impossibile che un simile equivoco, noto agli inizi solo a qualche dotto studioso, abbia potuto generare poi,ad Amalfi, la credenza popolare che faceva di un loro presunto concittadino, Flavio Gioia, l’inventore della bussola.

[2] Cfr. Tullio De Mauro, Il dizionario della lingua italiana, Paravia Torino, 2000.

[3] Di queste cose ho parlato abbondandemente in vari articoli del mio blog come Nomi di animali nelle espressioni […] (luglio 2012); Il diavolo non vuole lasciarmi (agosto 2012); La gramola e i suoi vari nomi dialettali (sett. 2012); “Fischia-froce”= fischietto […] (aprile 2011).

[4] Questo significato di ‘scanalatura’ di ingl. flute dovrebbe  troncare sul nascere, a mio avviso, la supposizione di un valore onomatopeico della radice.

[5] Cfr. Mauro Marzolini, “…me ‘nténni?”, Arti  Grafiche  Tofani, Alatri-Fr, 1995.

[6] Lo stretto rapporto tra il termine diavolo e l’organo sessuale femminile è chiaramente ribadito dalla storiella nota a Trasacco-Aq, di cui parlo nell’ articolo del mio blog “Fischia-froce”=fischietto [] (aprile 2011), già citato alla nota 3.