venerdì 1 marzo 2013

Le due qualifiche di "Nazoraios" e "Nazarenos" con cui viene indicato Gesù nei vangeli


          



Nell’ultimo libro di papa J. Ratzinger L’infanzia di Gesù viene affrontata anche la questione dell’origine dei due appellativi che nelle traduzioni attuali del vangelo vengono in genere resi con ‘nazareno’.  E così la coscienza del lettore medio si sente appagata, perché è credenza diffusa che Gesù fosse originario di Nazaret nella Galilea, anche se non tutti gli esegeti concordano in questo.  Il Papa, che è incline a riconoscere la storicità del racconto evangelico e a credere, come Klaus Berger nel suo commento del 2011 al Nuovo Testamento, che «gli evangelisti non intendono ingannare i loro lettori»[1], vuole tuttavia provare a vedere se nell’Antico Testamento ci sia «una traccia di una profezia che conduca alla parola nazoreo e possa essere applicata a Gesù»[2].  Forse non tutti sanno che a Matteo non era noto che Giuseppe e Maria risiedevano a Nazaret fin dall’inizio della loro storia (come invece sembra chiaro per Luca). Egli nel suo vangelo afferma che Giuseppe, di ritorno dall’Egitto dopo la strage degli innocenti, venuto a sapere che in Giudea regnava Archelao, il più crudele figlio di Erode, e avvertito in sogno da un angelo, riparò in Galilea, nell’oscuro paese di Nazaret disprezzato dagli stessi Galilei e non citato peraltro in nessuna profezia, «affinchè si adempisse ciò che era stato annunciato dai profeti: “Egli sarà chiamato Nazoreo”».[3]

Il Papa giustamente afferma che Matteo, con questo vago riferimento ai profeti (contrariamente alle altre sue citazioni bibliche), «ha lasciato agli esegeti di tutti i tempi un problema difficile: dove trova fondamento, nei profeti, questa parola di speranza?»[4]. Egli, seguendo Ansgar Wucherpfennig, le cui ricerche si sono concretizzate nella sua monografia su Giuseppe[5], indica due principali linee di soluzione del problema.  Una fa riferimento alla promessa della nascita  del giudice Sansone, da parte di un angelo che dice che lui sarebbe stato un nazireo, cioè consacrato a Dio fin dal seno materno (Giudici 13, 5-7). Contro questa ipotesi etimologica dell’appellativo nazoreo depone il fatto che Gesù non rispettò le norme del nazireato[6], soprattutto quella dell’astensione dall’alcol.  D’altro canto, però, nessun altro più di Gesù, al di là di queste norme spicciole di comportamento, potrebbe essere definito come consacrato a Dio, dal grembo materno alla morte in croce ― sostiene il Papa.  L’altra linea di interpretazione fa perno sulla parola ebraica nezer[7] ’germoglio, virgulto’ di cui si può avvertire la presenza in Isaia 11,1: «Un germoglio (nezer) spunterà dal tronco di Iesse».  Iesse o Isai era il padre di Davide, capostipite di Giuseppe e Maria.  Allora l’appellativo nazoreo, oltre ad indicare il paese d’origine di Gesù, appare in tutta la sua pregnanza teologica.  «Dal tronco, apparentemente già morto, ―continua il Papa― Dio fa spuntare un nuovo germoglio: pone un nuovo inizio  che, tuttavia, rimane in profonda continuità con la precedente storia della promessa»[8]

Ora, direi che il ragionamento del Papa su questi argomenti sia inoppugnabile, ma solo finchè si rimane nello stretto ambito dei significati teologico-allegorici dei presunti fatti storici.  Tutta la mia ricerca linguistica mi spinge però a sottolineare la necessità di interpretare linguisticamente le parole di ogni tradizione, scritta od orale che sia. Il Papa quindi, sulla scia del Wucherpfennig, fa certamente bene ad accostare l’appellativo nazoreo all’ebraico nezer ‘germoglio’ ma a mio avviso avrebbe dovuto spingere ancora più a fondo questo tipo di indagine che lo avrebbe portato a riconoscere, ad esempio, che il concetto di “germoglio” è molto vicino a quello di “capelli, barba”, e che esso avrebbe potuto servire, in ogni lingua, ad indicare tutto quello che ‘germina, nasce, cresce, si sviluppa, vive’ compreso il ‘rampollo, cucciolo, bambino’, il ‘cespuglio’, la ‘peluria’ o i ‘capelli’ come ho già detto[9].  In questo modo risulterebbe sensato affermare, ad esempio, che i capelli alla nazarena non traggono probabilmente il nome dal fatto che Gesù li portasse lunghi (cosa non certa) e nemmeno dal fatto che egli fosse stato nella realtà un nazireo (cosa improbabile, come visto), ma semplicemente dal fatto che in qualche parlata ebraica il termine nazoreo o nazireo o qualcosa di simile significasse, o avesse significato in passato, effettivamente ‘capelluto’, per i motivi che abbiamo spiegati sopra.  Alla luce di questi fatti diventa inoltre perlomeno probabile che l’origine dell’etnico nazoreo o nazareno ‘originario di Nazaret’ sia il risultato casuale di simili meccanismi linguistici, che del resto tornavano utili per avvalorare le profezie su Gesù e la presunta presenza della mano divina negli accadimenti della Storia, profezie che a mio avviso potevano non restringersi a quelle tramandate dalla Scrittura, ma attingere anche a possibili filoni della tradizione orale.  La facilità, poi, con cui sulla bocca del popolo i vocaboli possono confondersi è fenomeno di tutti i giorni e pertanto parole non ci appulcro, e mi pare che lo stesso termine nazireo abbia subito l’influsso di altra parola con significato di ‘capelluto’, se i consacrati a Dio dovevano tassativamente portare i capelli lunghi. Altrimenti, per cercare di spiegare questa norma al di fuori di un semplice incrocio linguistico, dovremo imbarcarci, se siamo ben equipaggiati, in una di quelle più o meno lunghe trattazioni, magari dotte e ponderate, che alla fine portano a qualche risultato, tra possibili altri, risultato però che è quasi sempre di natura simbolica, allegorica o teologica. C’è da credere, pertanto, che anche Sansone si ritrovasse la sua abbondante chioma, in cui risiedeva tutta la sua straordinaria forza, non necessariamente perché fosse nazireo come dice la Scrittura, ma per altri motivi, non ultimo quello di essere un probabile nome di divinità solare, se il nome valeva ‘piccolo sole’ dall’ebr. Šimšōn, derivato da šemeš ‘sole’.  E abbiamo visto nell’articolo precedente Natale, Magi, Epifania […]  come Apollo, dio del sole, ricevesse da Omero l’appellativo di akersé-komos ‘dall’intonsa chioma’ e quale ne fosse il significato originario. D’altronde mi pare evidente anche l’incrocio del termine šāmēn ‘il forte’ col nome di Sansone. I capelli stessi, in quanto crescita, germoglio, cespuglio, sono espressione di rigoglio,forza e vigore.

Così si può perlomeno sospettare che ogni interpretazione di passi biblici  in chiave teologico-allegorica, senza il riscontro costante con i significati profondi delle parole coinvolte, può solo svelare un gioco allegorico e superficiale di specchi che si riflettono a vicenda, ma mai rompere la malia che li adultera e che è causata, nel corso di una tradizione orale e scritta plurimillenaria, proprio dalla Lingua, se la si intende come portatrice di termini dai significati profondi polivalenti, facilmente confondibili tra loro per effetto di inconsci riflessi condizionati, di automatiche sovrapposizioni di parole simili e, più raramente, di reciproci ammiccamenti consapevoli, specie in racconti di natura mitico-religiosa razionalmente poco sorvegliati, con effetti davvero imprevedibili e sconvolgenti, nell’interpretazione dei passi.


                                         Ignoto Deo
                                              aram
                                           exstruam
                                                    
                                    (Innalzerò un altare
                                               a Dio
                                       che è ignoto)


 Intervento di Einstein al simposio su Scienza, filosofia e religione del 1940 :

«Chi ha fatto l’intensa esperienza dei fortunati progressi compiuti dalla scienza, è preso da profonda riverenza per la razionalità che si manifesta nell’esistenza.  Per mezzo della comprensione egli si libera completamente dalle catene delle speranze e dei desideri personali, e raggiunge quell’umile atteggiamento della mente verso la grandezza della ragione incarnata nell’esistenza, che nelle sue più grandi profondità è inaccessibile all’uomo.  Quell’atteggiamento mi sembra religioso nel più alto senso della parola». 



[1] Cfr. J. Ratzinger, L’infanzia di Gesù, Rizzoli, Milano 2012, p. 138.

[2] Cfr. J. Ratzinger, cit., p. 134.

[3] Cfr. Matteo 2,23.

[4] Cfr. J. Ratzinger, cit., p. 133.

[5] Cfr. J. Ratzinger, cit., pp. 134 e sgg.

[6] I nazirei, nel mondo ebraico, erano coloro che si consacravano a Dio, e portavano i capelli lunghi per tutta la durata della loro sacralità.  Il termine è fatto derivare dall’ebr.  nāzir ‘separato’.

[7] Mi pare esista anche la forma naser ‘pollone, virgulto’ e nazer 'fiore, corona'.

[8] Cfr. J. Ratzinger, cit., pp. 135-6.  L’immagine di Gesù come germoglio che spunta dal tronco mi pare simile a quella di Adone, divinità solare, che nasce dal tronco dell’albero in cui fu trasformata la madre Mirra, la quale ―vedi caso― ha un nome molto simile all’ebr. Miryam ‘Maria’.

[9]  Per il rapporto tra i concetti simili di pelo, capello, stelo, virgulto, tronco, ecc. cfr. nel mio blog l’ articolo Il “Lino delle fate” […] dell’ottobre 2012 nonché i due articoli del dicembre dello stesso anno 2012.  Per i vari significati della radice si ponga attenzione ad accadico nasu 'produrre', accadico nisu 'popolo' (come espressione di un concetto "di generazione, nascita, nazione"), accadico nesu 'vivere, guarire', ebraico nissa oppure nes 'fioritura' (cfr. la voce nazer 'fiore' della nota 7), ecc. Cfr. G. Semerano, L'infinito: un equivoco millenario, Bruno Mondadori, 2001 Milano, p.135.
Leggo in un sito web (Osservazioni sul titolo di Nazareno) che nella Bibbia il termine naziyr, dalla radice nazar, oltre al  significato principale di 'nazireo', ne ha un altro, quello di 'vigna non potata'. Questo aspetto viene legato al fatto che i Nazirei non si radevano i capelli.  A me  sembra invece una bella conferma di quanto sostengo sugli incroci delle parole e soprattutto sulla trasversalità, per così dire, del significato delle radici che in questo caso pone sullo stesso piano (senza rimandi metaforici come invece pensa l'estensore del suddetto articolo web) il concetto di "capigliatura" e quello di "chioma -di una vite o vigna non potata".  I due concetti sono specializzazione di quello sovraordinato di "rigoglio, efflorescenza, lussureggiamento" e, più in fondo, di quello di 'forza, vigore'.  Semplici verità misconosciute da tutti.  Che fanno tabula rasa  di ponderosi volumi, frutto di sia pur dottissime menti. Cfr. anche, nel post La Madonna della Libera ... del dicembre 2012, il caso simile di gr. trag-an 'ricoprirsi di foglie lussureggianti' (detto della vite) e di gr. trag-os 'specie di grano. ecc.' probabilmente apparentato con gr. thriks 'capello'.  Ma la cosa si chiarisce bene, senza ombra di dubbio, con un passo biblico, dove nizaerek , forma derivante da nezer, ha il significato diretto di 'chioma, capelli' (Geremia 7,29).
Ho scoperto che anche nel dialetto abruzzese si incontra un termine che probabilmente è imparentato con questa radice semitica.  Esso è nàssere 'fungo della quercia', presente nel Vocabolario Abruzzese di D. Bielli.