venerdì 1 febbraio 2013

Natale, Magi, Epifania: una matrice comune nei culti solari mediorientali ed egizi

                           Natale, Magi, Epifania: una matrice comune nei culti solari mediorientali ed egizi

 

 

 Tutte le festività ruotanti intorno alla nascita del nostro Salvatore con i relativi riti ed eventi, veri o presunti che fossero, vanno a mio avviso inquadrate nel solco di una tradizione o, meglio, di molteplici tradizioni astrologico-mitico-religiose di origine antichissima che affollavano in quel tempo l’ambiente saturo di spiritualità, in attesa di un Salvatore, del Vicino Oriente, crocevia di correnti culturali provenienti dall’antico Egitto, dalla civiltà della Mesopotamia nonché da quella dell’antica Persia. «Queste leggende orientali ―afferma infatti il Cattabiani[1] riguardo a diversi racconti sui Magi pervenutici attraverso i Vangeli apocrifi ed altri scritti― sono il frutto di un processo sincretistico che tendeva a cristianizzare le tradizioni religiose dell’area mesopotamica e iranica. Ma, come sempre accade nei processi di assimilazione, molti aspetti della religione mazdeica e di quella caldea penetrarono nella cristianità. Né v’è da scandalizzarsi poiché la Rivelazione non è una religione, ma abbraccia e illumina tutte le religioni».

La questione della Stella Cometa, per la quale sono state avanzate diverse ipotesi nel passato (c’è chi vuole che si tratta di una cometa vera e propria, chi di una supernova e chi di una congiunzione dei pianeti Giove, Saturno, Marte), si risolve a mio avviso con molta semplicità applicando sul nome il mio solito metodo di ricerca convalidato dai numerosi esempi presenti negli articoli del mio blog.  L’espressione stella cometa  sembra risalire a Giotto che all’inizio del 1300 la dipinse con una lunga coda nell’affresco della natività della cappella degli Scrovegni a Padova, dopo essere rimasto probabilmente impressionato dalla visione della cometa di Halley passata qualche anno prima.   Da questo autorevole esempio si sarebbe diffuso nei secoli successivi l’uso di includere una cometa nella scenografia della natività.  Ma d’altra parte è certo che lo scrittore-teologo Origene (185-254) già nei primi secoli del cristianesimo aveva parlato di cometa  a proposito dell’astro che secondo il vangelo di Matteo avrebbe guidato il cammino dei Magi dall’oriente. E’ quindi a mio parere almeno supponibile, stante la interpretazione di Origene, che questa idea della cometa circolasse in qualche ambiente dotto o popolare, soprattutto perché, come spiegherò tra poco, la parola già ricorreva, con funzione e significato solo apparentemente diversi, in altre tradizioni greche e orientali,  prima e dopo della nascita di Cristo.

Nell’articolo La tradizione della Panarda e i suoi rapporti con miti di antichissime divinità solari  del gennaio  2012  ho già individuato nella tradizione relativa a sant’Antonio  Abate gli elementi che rimandano alla divinità solare di Apollo degli antichi greci[2].  Nell’Iliade Omero usa chiamare il dio akerse-kómes [3] ‘dall’intonsa chioma’, epiteto il cui secondo membro, come ho fatto notare in quell’articolo, doveva avere un significato di ‘luminosità’ che ribadiva tautologicamente quello del primo, secondo i principi della mia linguistica ricordati ad nauseam nei post precedenti.   Il gr. kom-étes  esibiva due significati,  ‘dai lunghi capelli’ o ‘dalla lunga barba’: in quest’ultimo senso dovette  generare la rappresentazione tradizionale del Santo con una lunga barba bianca.  A mio avviso questa radice kom- è variante di quella del termine rom kam ‘sole’ o dell’arabo gam-ra ‘luna’.   E’ pertanto possibile che il termine kométes sia stato uno dei tanti appellativi del Sole col significato di ‘luminoso’ e simili, a meno che non fosse stato addirittura un sostantivo designante il sole stesso o qualsiasi altro astro.  Il suo incrociarsi col termine kóme ‘chioma, capelli’ ne specializzò il significato nel senso di ‘chiomato’ riferibile anche alle comete che sono dei corpi celesti luminosi che di solito presentano una coda più o meno lunga.  In questo modo verrebbero a cadere tutte le altre più o meno artificiose ipotesi relative alla tradizione della cometa del Natale, la quale certamente non dovette essere un fenomeno celeste ma doveva alludere alla natura solare e divina del bambino Gesù.  In questo modo si capirebbe meglio anche perché tradizionalmente il Nazareno venisse rappresentato con lunghi capelli e con barba, anche se non troppo lunga.  D’altronde si intuisce facilmente che il campo semantico dei raggi del sole, ad esempio, deve essere affine a quello dei capelli: si tratta sempre di escrescenze, emanazioni e simili. A Roma il Natale sostituì, come è ben noto, la festa pagana del Sole Invitto.

Una cosa che ho scoperto recentemente e che mi sembra spiegare a puntino l’iconografia tradizionale della natività è lo schema della costellazione zodiacale del Cancro (che, tra l’altro, non assomiglia affatto alla forma di un cancro) nella quale il sole entra, come abbiamo appreso già dai banchi del Liceo, in corrispondenza del solstizio d’estate, periodo di festeggiamenti solari in quasi tutte le comunità antiche e preistoriche, come avveniva nel contrapposto solstizio d’inverno. Attualmente, a causa della cosiddetta precessione degli equinozi, sappiamo che non esiste più un’esatta linea di congiunzione Terra-Sole-Costellazione come al tempo degli antichi greci e che, pertanto, l’ingresso del sole in una certa costellazione dello zodiaco in realtà avviene con un notevole ritardo (circa 30 gradi) cosicchè quando, ad esempio, si dice che il sole è in Ariete esso si trova in effetti nella costellazione precedente dei Pesci.  Ma questi dettagli astronomici a noi ora interessano poco e perciò non vi insistiamo più di tanto.   In estrema sintesi si può asserire che la costellazione del Cancro è composta da un ammasso centrale di stelle visibile a noi come una nebulosa che i greci chiamavano phátne ‘mangiatoia’.  A nord e a sud di questo ammasso sono situate due stelle nominate latinamente Asellu(m) Boreale(m) ‘Asinello Boreale’ l’una, e Asellu(m) Australe(m) ‘Asinello Australe’ l’altra.  Non si può negare, mi sembra, che questa disposizione abbia fornito il modello incontrovertibile, con una variante di scarso peso, alla rappresentazione della natività di Betlemme, con il bambino deposto da Maria nella mangiatoia (phátne, nel vangelo di Luca) e con il bue e l’asinello ai lati, copia, appena variata, dei due asinelli della costellazione.   Appare così evidente, a mio parere, oltre al fatto che, quanto alla natività, probabilmente gli astronomi e gli storici delle religioni non si sono mai parlati tra loro da 2000 anni a questa parte, anche il fatto che tutta l’iconografia della natività ha un’origine prettamente astronomica: il bambino nella mangiatoia rappresenta il Sole che entra, come abbiamo detto, nella costellazione del Cancro, per la precisione nel bel mezzo della sua mangiatoia, cioè la nebulosa a cui si è accennato.  Ma siccome la natività di Betlemme riguarda il solstizio d’inverno, il Sole non vi può essere rappresentato nel pieno della sua forza e fulgore, bensì nelle forme di un Solicello, il bambino Gesù che tuttavia esplicherà tutta la sua potente forza divina di rinnovamento spirituale quando avrà raggiunto la maturità, rappresentata dal sole nel segno del Cancro, dove l’astro brilla in tutta la sua potenza all’inizio dell’estate.  Inoltre, a voler essere più esaustivi circa la probabile origine della figura del bambino, non si può passare sotto silenzio nemmeno il fatto che, secondo la mitologia greca, la costellazione del Capricorno, dove il sole entra nel solstizio d’inverno, corrispondeva alla capra Amaltea che aveva nutrito Zeus bambino, il dio il cui nome, come vedremo più sotto, in una precedente fase preistorica dovette indicare il Sole[4].  Per quanto riguarda la variazione del bue  che sostituisce l’asinello della costellazione, accenno, per non appesantire troppo il discorso, solo al fatto che il bue nella mitologia greca era animale sacro al Sole: tutti ricorderanno il misfatto dei compagni di Ulisse che giunti nell’isola di Trinacria (Sicilia) uccisero a sua insaputa buoi di una mandria sacra al Sole Iperione (Od. XII).  Nulla, in questi racconti mitici, è gratuito o attribuibile alla fantasia di qualcuno, ma tutto può e deve spiegarsi con un’analisi linguistico-culturale, sempre aderente alla corposità polivalente[5] delle parole, per non cadere, appunto, negli errori di spiegazioni più o meno fantasiose.   Altro bue interessante come antica divinità solare è quello che anima la festa di San Zopìto a Loreto Aprutino-Pe, di cui ho parlato ampiamente nell’articolo San Zopìto, san Pietro, Giove ed altro  presente nel mio blog (giugno 2009).

Papa Joseph Ratzinger non ha sfoltito di molto la tradizionale iconografia della natività nel suo ultimo libro L’infanzia di Gesù (Rizzoli, Lev) con una interpretazione sostanzialmente teologico-allegorica dei fatti e circostanze connessi i quali, nonostante i dubbi e le problematiche che essi pongono, potrebbero tuttavia mantenere, secondo lui, una certa consistenza storica: la cometa, pur essendo stata interpretata come un racconto teologico, non esclude un possibile riferimento a qualche fenomeno astronomico come la congiunzione dei pianeti Giove Saturno e Marte che secondo Keplero sarebbe avvenuta a cavallo degli anni 7-6 a.C., periodo che potrebbe coincidere con l’anno della  nascita di Gesù, data che, come sappiamo, deve essere anticipata rispetto a quella fissata dal monaco Dionigi il Piccolo (morto ca. 550) che aveva evidentemente sbagliato i suoi calcoli ; il bue e l’asinello non sarebbero in realtà mai stati presenti nella stalla come si evince, del resto, anche dai due vangeli di Matteo e Luca  che non ne parlano affatto, anche se la loro presenza nella natività è rintracciabile sin dai primi tempi[6]; non i pastori ma gli angeli avrebbero cantato gioiosamente le lodi del Signore, ecc.  Si direbbe che il Papa non abbia salvato solo l’essenziale per la sopravvivenza della religione cristiana: il parto verginale di Maria, madre di Gesù figlio di Dio.  Un non credente naturalmente sarebbe portato ad includere i vari elementi della natività in quello che gli appare come uno dei diversi miti relativi alla nascita di una divinità che si somigliano un po’ tutti. Io, che come tanti altri sono partito come credente dalla fanciullezza ma sono via via scivolato, col crescere dell’età e delle mie conoscenze, per quanto scarse, in quell’area laica in cui si colloca l’agnosticismo con qualche apertura al deismo immanentistico, sono propenso a credere che questa nascita miracolosa di Gesù, vera o falsa che fosse, è andata a situarsi con tutta naturalezza, come abbiamo visto, nell’alveo di numerose tradizioni religiose legate al culto solstiziale del Sole diffuso ampiamente nel mondo precristiano. La visione storico-teologica del Papa salva in effetti, capra e cavoli, cioè il racconto evangelico e le interpretazioni allegorico-teologiche, mentre la  mia interpretazione essenzialmente linguistica dei personaggi ed eventi connessi con la natività, causa sostanzialmente la vanificazione della loro consistenza storica, mostrando nel contempo come si siano originate certe leggende, per semplici sovrapposizioni e suggestioni linguistiche[7]

I Magi, infatti, che secondo il racconto biblico andarono a Betlemme per adorare il Bambino, erano probabilmente degli adoratori del fuoco e del Sole appartenenti ad una classe di supersacerdoti della Media, detentori del sapere astrologico ed astronomico (a loro stessi quindi, che certamente mai si erano mossi per recarsi in Giudea, è da ricondurre semmai l’iconografia solstiziale della natività: fu questa a viaggiare col tempo nell’area del Medio Oriente, non i magi) imbevuto di zoroastrismo e mitraismo, religioni persiane riservanti ampio spazio al principio della Luce e al Sole, come sembra adombrare, tra le altre, anche la leggenda (riferita da Marco Polo nel Milione) del bossolo chiuso dato ai magi dal Bambino perché lo portassero con sé tornando alle loro terre.  I Magi lo aprirono durante il viaggio e videro che esso conteneva una pietra. La gettarono delusi in un pozzo e subito dal cielo scese un fuoco ardente. Capirono così che quello era un gran segno e presero parte di quel fuoco per portarlo al loro paese e costruirgli un gran tempio dove da quel tempo arde perennemente, considerato come un dio[8]

La festa dell’Epifania, nata in Oriente verso il 120-140 d. C., celebrava all’origine, il 6 di gennaio, il battesimo di Gesù tra gli gnostici basilidiani, i quali credevano che l’incarnazione del Signore fosse avvenuta col suo battesimo e non con la nascita.  E’ ad ogni modo bene notare che il 6 gennaio era anche la data paleoegizia del solstizio d’inverno nella quale si festeggiava il nuovo sole e che l’Epifania era nota, e lo è tuttora nelle Chiese orientali, anche come festa delle luci a detta di san Gregorio Nazianzeno[9], dove si coglie il segno dell’antico culto mazdeico della luce.  Essa ha finito con l’assumere sensi e sfumature diverse ruotanti intorno al significato del gr. epipháneia ‘apparizione (agli uomini), manifestazione delle varie nature del Cristo’ nelle Chiese orientali e in quella occidentale che aveva già iniziato a celebrare il Natale il 25 dicembre. 

Ultima e interessantissima scoperta linguistica: il circolo dello Zodiaco, dal gr. zōidiakós (kýklos), cioè ‘(circolo) delle figure celesti’, va interpretato in modo diverso dal consueto.  Il gr. -idi-on ‘animaletto, figura’ è diminutivo di gr. -ion ‘vivente, animale’ ma, a mio avviso, questo significato di superficie qui ne copre un altro, quello della radice di gr. Zeús, genit. Di-ós ‘Zeus’ che, come è ben noto, è la stessa di lat. Iu-ppiter < *Diu-ppiter ‘Giove’ e di lat. di-e(m) ‘giorno’.  Evidentemente il sommo Giove, prima di diventare il padre degli dei e degli uomini e il signore del cielo, della folgore e degli altri fenomeni atmosferici, era stato dio del Sole e della sua Luce.  Pertanto il termine Zo-diaco va sciolto in ‘viaggio, percorso (-diaco) del Sole (Zo-) nel cielo’ perché la seconda componente –diaco dovette essere, in una fase preistorica, sostantivo del verbo gr. di-ágō ‘trasporto, tragitto, trascorro’ o del verbo gr. di-ókō ‘inseguo, corro, ecc.’, e dovette indicare il percorso apparente del sole sul piano dell’eclittica durante l’anno. Il significato di ‘sole’, per la componente Zo-, è confermato dall’analisi da me fatta del nome di san Zo-pìto di Loreto Aprutino, per la quale rimando all’articolo sopra citato, nonché dall’epiteto Zo-stério di Apollo[10]. Ma è più stupefacente ancora il dover constatare che, in base al principio tautologico da me stabilito in virtù del quale le componenti di un composto avevano all’origine lo stesso significato, anche il 2° membro –diaco era sicuramente all’origine un nome per ‘luce, sole’ composto a sua volta dalla radice di- di lat. *Diu-ppiter ’Giove) e dalla radice ag- di a. ind. ag-nis ‘fuoco’, lat. ig-ne(m)’fuoco’[11].  Anche questo esempio dello Zodiaco dimostra che, scava e riscava, i nomi finiscono sempre con l’indicare, direttamente e semplicemente, l’oggetto o l’azione che rappresentano.  D’altronde anche il significato di ‘animale’ di gr. zóion è molto vicino, a mio avviso, a quello di ‘vita, calore, sole’.  Avrebbe dovuto far nascere qualche dubbio sulla genuinità dell’etimo tradizionale di Zodiaco già il fatto che solo sette suoi segni su dodici alludono ad animali. 

E’ mio proposito cercare di capire meglio, infine, se per caso il cosiddetto Camino de Santiago o semplicemente Camino (che nel medioevo ―con una reviviscenza nei nostri giorni― vedeva nella Spagna settentrionale un’infinità di pellegrini in marcia da oriente verso occidente per raggiungere Santiago de Compostela, città situata non troppo lontano dalla località di Finisterre sull’Oceano Atlantico, dove esso terminava) non sia stato in realtà un itinerario religioso già percorso nella preistoria da popolazioni celtiche o meno come segno di devozione verso il dio del Sole. Non è azzardata quindi la proposta, se a Finisterre secondo la tradizione esisteva un’Ara Solis ‘Altare del Sole’ che continuava un culto precedente alla romanizzazione, di scomporre il nome in San-tiago, invece che in Sant-iago[12] ‘San Giacomo’ come comunemente si fa, e intenderlo, allo stesso modo dello Zo-diaco, come *San-diaco ‘percorso, cammino(-diaco) del Sole (San-)’: per il primo membro *San- cfr. gr.dial. Zán ‘Zeus’(con la zeta sonora, se non pronunciata come fricativa sonora), ingl. sun ‘sole’, ted. Sonne ‘sole’, serbo-croato sunce ‘sole’. 

 

 

 

                                                            ALMO SOLI

                         

                                                     GRATIAS PLURIMAS  

 

                                                                   AGO

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Cfr. A. Cattabiani, Calendario, Mondolibri S.p.A. 2004, Milano, p. 94.

 

[2] Per un’analisi più ampia della questione rimando all’articolo citato del gennaio 2012.

 

[3]  Mi pare che anche Dioniso, figlio di Zeus, avesse questo stesso epiteto. La componenete akerse- (intesa come ‘intonsa’ dalla radice di gr. keírō ‘recido, toso’ preceduta da alfa privativo) ha la stessa radice, a mio avviso, della voce del dialetto parmigiano agher,  reso in italiano con agro nel Dizionario della lingua italiana (Ceschina, Milano 1957) di Fernando Palazzi, che significa ‘massa informe di ferro ancora misto con scorie, tirata fuori dalla poffa (fuoco) con la vergella (paletta per il fuoco)’.  In greco si incontra un altro composto leggermente diverso nella forma esteriore ma con altro significato, e cioè egresí-kōmos ‘eccitatore (egresí-) di festosa baldoria  (-kōmos)’ riferito sempre a Dioniso, figlio di Zeus.  E’ a mio avviso evidente che l’origine preistorica di questi due composti è la stessa, ma successivamente essi subirono due rietimologizzazioni diverse.  L’idea di ‘eccitamento’ è molto simile a quella di ‘forza, calore’ del precedente composto come anche l’idea di ‘baldoria, orgia’ del resto.  Nell’antico indiano il nome segreto di Agni, dio del fuoco (lat. igne(m) ‘fuoco’), è proprio agre che però in quella lingua significa ‘avanti’, avverbio che condivide chiaramente lo ‘scatto (in avanti)’, lo ‘slancio’ col fuoco! Agréus ‘cacciatore’ è in greco epiteto di Apollo, dio del sole, di Pan, antico nome di un dio solare (cfr. l’articolo del mio blog La tradizione della Panarda […] del gennaio 2012) e di Poseidone, dio del mare, le cui onde e cavalloni assomigliano molto alle emanazioni solari.

 

                                            

[4]  Il segno del Capricorno in greco era chiamato aigó-kerōs cioè ‘corno (-kerōs) della capra (aigó-)’ la cui seconda componente -kerōs si prestava benissimo, a mio parere, ad essere interpretata come ‘figlio, bambino, giovane’ e ad essere considerata della stessa radice di gr. kóros, koûros, kôros ‘bambino, fanciullo, giovane, figlio, rampollo, stelo’ e di lat. cre-sco ‘cresco’, lat. Ceres ‘Cerere’ dea della fertilità e delle messi.  Si acclara così anche l’origine della Cornucopia (lat. cornu copiae ‘corno dell’abbondanza’) posseduta dalla capra Amaltea, corno pieno di ogni bendidio (gr. Amaltheías kéras ‘corno di Amaltea’).  Anche il concetto di “corno” rientra in quello sovraordinato di “escrescenza, crescita”. 

[5]  Io penso, tanto per fare un esempio, che lo stesso gr. kár-kinos ‘granchio; costellazione del Cancro’, termine presente anche nell’antico indiano, abbia dato origine all’idea dell’asino e del bue.  Nei dialetti iranici del Pamir, infatti, la voce khar  (divenuta poi kar) designa l’asino. La radice è rintracciabile, del resto, anche nel francese antico har-az ‘allevamento di cavalli’  e, se si vuole, anche nell’incitamento rivolto un tempo solo al somaro, nel dialetto del mio paese, arri là, arri qua ‘(vai) di là, (vai) di qua’.  La componenete –kinos  trova un’esatta rispondenza nell’inglese arcaico kine ‘vacche’.  Altre radici potrebbero essere coinvolte, che indicano però altri generi di animali, per effetto di una loro specializzazione che le allontana dal significato generico di ‘animale’ che all’origine avevano.

 

[6]  La presenza del bue e dell’asinello nella stalla della natività  è fatta risalire dal Papa alla suggestione generata nei fedeli da luoghi biblici come quello di Isaia 1,3 nel quale testualmente si dice: «Il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce, il mio popolo non comprende».  Il profeta qui parla della degenerazione e corruzione del popolo d’Israele che non vuole riconoscere di appartenere a Dio e non vuole comportarsi saggiamente.   Certamente c’è una coincidenza di parole (bue, asino, greppia) che potrebbe aver influenzato la strutturazione della scena della natività ma c’è altresì una quasi totale dissonanza di argomenti tra i due termini di paragone (la Natività da una parte e questo passo biblico dall’altra) mentre invece esiste una perfetta consonanza, e di nomi (a parte il bue)  e di sostanza, tra lo schema del segno del Cancro e la Natività. Anzi, la Mangiatoia della costellazione viene chiamata anche Alveare o Presepe, il che è fulminante!  Il lat. praesepe  ha vari significati come ‘recinto per animali, stalla, mangiatoia, alveare’ tutti derivanti da un’idea sovraordinata di ‘cavità’ che, quindi, poteva servire anche per indicare  una  normale culla di gente modesta, se non povera, dove Maria depose il Bambino.  Così, a ben riflettere, ogni spiegazione simbolico-allegorica sembra perdere forza dinanzi a quella linguistica che scende allo strato vivo originario di quei nomi che solo successivamente, magari completamente stravolti nel senso, possono servire  da pretesto per questa o quella reinterpretazione allegorica. La mangiatoia, ad esempio, ha suggerito  alcune interpretazioni allegoriche come quella di sant’Agostino (cfr. J. Ratzinger L’infanzia di Gesù, p.82) per il quale essa alludeva al cibo per il riscatto dell’uomo cui Dio offriva suo figlio come pane divino.  Ma queste interpretazioni, a mio avviso, travalicano sempre l’originaria funzione del termine che verosimilmente  non indicava altro che una semplice culla nel racconto della natività.

 

[7] Il Papa, per avvalorare la storicità della natività narrata dal vangelo, a p.81 del suo libro testualmente afferma:«Già in Giustino martire († ca. 165) ed in Origene († ca. 254) troviamo la tradizione secondo cui il luogo della nascita di Gesù sarebbe stata una grotta, che i cristiani in Palestina indicavano.  Il fatto che Roma, dopo l’espulsione dei Giudei dalla Terra Santa nel II secolo, abbia trasformato la grotta in un luogo di culto a Tammuz-Adone, intendendo evidentemente sopprimere la memoria cultuale dei cristiani, conferma l’antichità di tale luogo di culto e mostra anche la sua importanza nella valutazione romana.  Spesso le tradizioni locali sono una fonte più attendibile che le notizie scritte. Si può quindi riconoscere una misura notevole di credibilità alla tradizione locale betlemmita, alla quale si riallaccia anche la Basilica della Natività».  Ora, queste parole del Papa sembrano ineccepibili.  Ma, tenendo presente Ezechiele 8,14, versetto in cui il profeta (600-500 a.C.) si mostra scandalizzato del fatto che persino in Gerusalemme, all’ingresso del tempio rivolto a settentrione, le donne si lamentavano per la morte di Tammuz, in me si insinua fortemente il dubbio che la grotta della natività a Betlemme avesse accolto il culto di Tammuz-Adone, diffuso in tutto il Medio Oriente, già prima della nascita di Cristo e che l’intervento di Roma nella trasformazione del luogo sacro dopo il II secolo avesse oltretutto anche il sapore di una restaurazione di un culto locale antichissimo per Tammuz-Adone, dio che moriva e rinasceva, soppiantato da quello cristiano.  Adone, tra l’altro, era figlio di Mirra, nome molto simile a quello ebraico di Miryam ‘Maria’, ed era nato dal tronco dell’albero in cui fu trasformata sua madre: come Gesù che viene preannunciato da Isaia come un germoglio che spunterà sul tronco di Iesse (Isaia 11,1)  Su questa divinità solare rimando al mio articolo La tradizione della Panarda[…] del gennaio 2012.

 

[8] Cfr. A. Cattabiani, cit., p. 97.  Lì, tra l’altro, si afferma che i Magi erano coloro che possedevano il mag (che letteralmente significa ‘dono’), il potere mediante il quale si otteneva una illuminazione o visione diretta delle cose e una conoscenza al di fuori dell’ordinario.  A me pare che in questo significato la radice si incontri con quella del gr. mák-ella dal significato di ‘zappa’ ma anche di ‘folgore (di Giove)’, con cui si introduce un suo probabile valore generico di ‘luce, luminosità’.  

 

[9] Cfr. A. Cattabiani, cit., p. 102 e sgg.

 

[10] Cfr. articolo del mio blog (novembre 2010) intitolato La dea Angizia […].

 

[11]  La componente –diaco , con la caduta della dentale iniziale, va a confrontarsi col ted. jag-en ‘cacciare, dar la caccia’, ted. jäh, jähe ‘veloce, impetuoso, ecc.’  Essa ricompare a mio avviso nell’espressione ingl. jack-o’-lantern ‘fuoco fatuo’ ma anche ‘zucca svuotata e illuminata dall’interno con incisi i tratti di un volto umano’, lett. ‘Jack della lanterna’, il che fa supporre che il personale it. Iago (che potrebbe tuttavia confondersi con Iaco, forma abbreviata di Iacopo) faccia riferimento, in ultima analisi, allo ‘spirito’ dell’uomo se qui la parola vale ‘fuoco, luce’.  In inglese Jack è sentito ora come diminutivo di John ‘Giovanni’ o di Jacob ‘Giacomo’, ma la sua vera origine poteva essere molto più antica e risalire alla forma –diaco di cui si parla. Anche il lat. igne(m) fatuu(m) ‘fuoco fatuo’ non la racconta giusta sul significato di fatuu(m) che in latino valeva solo ‘stupido, insulso, sciocco, buffone’ e un fuoco non lo potrebbe mai essere!  La spiegazione sta, per  me molto chiaramente, nel riconoscere che la radice è la stessa di lat. fatu-ari ‘essere ispirato, essere in preda dell’agitazione profetica’ il quale, a sua volta, aveva un duplice etimo, come in una successione di strati, quello di lat. fari ‘parlare’ (in quanto profeta, indovino) e quello di ‘spirito’ in quanto i profeti in genere era presi da ‘entusiasmo’, lett. ‘agitazione o furore divino’.  Da ricordare il dio latino della natura Fatuu(m), altro nome di Fauno, ritenuto indovino. Sicchè, in conseguenza di questi meccanismi, vedo profilarsi in lontanza anche la possibilità di interpretare la parola phát-ne ‘mangiatoia, cassettoni del soffito, cielo d’una stanza, alveoli dei denti’, che designava l’ammasso nebuloso della costellazione del Cancro, come rietimologizzazione di un probabile precedente vocabolo per ‘luminosità, luce’, concetto vicino a quello di ‘spirito’, e non come allegorica ‘mangiatoia’.   E così di significato in significato le etimologie  raggiungono, a mio avviso, il profondo vero che si rivela molto più cordiale e semplice di quanto generalmente si crede.

 

[12]  Il nome della città sarebbe derivato dal fatto che, nel medioevo, vi fu rinvenuta la tomba di san Giacomo apostolo, il quale, secondo gli Atti degli Apostoli era invece  morto in Palestina (At 12,1-2).  A me pare chiaro che tutta la storia della tomba di Giacomo rinvenuta a Santiago de Compostela si sia naturalmente originata da mera coincidenza di nomi, essendo il toponimo della città a quanto pare preesistente al nome dell’apostolo.  Anche il nome della Costa della Morte (tra Finisterre e Malipica) di fronte all’oceano, credo sia dovuto, più che ai probabili naufragi avvenutivi, al fatto che lì, nell’Atlantico, il Sole va a tramontare, cioè a morire.