martedì 1 maggio 2012

Nomi di venti ovvero gli abbagli della linguistica




A colpo d’occhio, esaminando i nomi di diversi venti, emergono, per quanto riguarda i significati di alcuni di essi, certe discrasie, contraddizioni non rilevate, che io sappia, dagli etimologi di professione perché ritenute probabilmente casuali o di nessuna conseguenza. A me questo fatto è parso invece di fondamentale importanza nel tracciamento delle linee guida per la determinazione delle etimologie più probabili che, guarda caso, vanno nella direzione dei principii fondamentali della mia linguistica.

Si sente spesso parlare, ad es., del vento Maestro o Maestrale che suole soffiare robusto da nord-ovest sul Mediterraneo e sulla Sardegna (tutti ricordano i versi carducciani […]e sotto il maestrale/urla e biancheggia il mar;[…] della notissima poesia San Martino) ma nessuno, nemmeno i linguisti, sembrano far caso al fatto che nel Friuli-Venezia Giulia spira talora una leggera brezza di mare chiamata ugualmente Maistro e che pertanto dovrebbe cadere ipso facto, o almeno diventare problematica, l’etimologia che solitamente fa riferimento, per il vento Maestro, al suo carattere robusto e dominante. Anche a Gela (Sicilia) spira un vento caldo Maistrali, proveniente da sud-ovest (cfr. Giuseppe Tuccio, Vocabolario siciliano-italiano, presente in rete).  

Tutti conoscono la Bora, il vento di nord-est che si avventa gelido e rabbioso sull’Adriatico attraverso la porta di Trieste, ma pochi conosceranno il nome latino del vento Euro-boru(m) che spira invece da sud-est, da tutt’altra direzione rispetto al precedente, la cui radice, per la componente -boru(m), non può essere estranea a quella nota della Bora, dal greco Boré-as. Ma la cosa non sembra scomodare nessuno. Nessuno, inoltre, ha mai riflettuto che a Salerno, in Campania, il vento del nord viene chiamato Sal-bora, nome in cui ricompare alla chetichella la componente –bora. Ancora nessuno si sente in dovere di chiarire linguisticamente come mai in Puglia la Buri-ana è un vento dell’ovest, mentre altrove è altro nome per Tramontana. L’ Euro-circi-as era il nome di un vento che spirava fra levante e scirocco, ma il vento Cerc-iu(m) o Circ-iu(m) era il nome di un vento di nord-ovest simile al Maestrale. E non è detto che il cosiddetto Greco o Grecale (Guerg-al nelle Baleari, con sonorizzazione delle velari sorde di un precedente *Cerc-al), che è vento di nord-est, non sia da interpretare come derivante da questa stessa radice che quindi non ha nulla a che fare con la Grecia che viene solitamente tirata in ballo, più o meno artatamente, per la individuazione dell’etimo.

Molti conoscono il Garbino, vento di sud-ovest che scende surriscaldandosi sul versante orientale della dorsale appenninica in direzione dell’Adriatico, confuso talora col Libeccio o addirittura con lo Scirocco, ma pochi sanno che nella parlata slava di Neresine in Dalmazia il Garbin (1) indica un vento di nord-ovest e che in greco il Karb-as, la cui radice deve essere la stessa del Garbino, è un vento dell’est. Dovrebbero essere quindi più che sufficienti queste discrepanze di significato (ma ce ne sono altre) per non dover accettare la gran parte delle etimologie proposte dalla tradizione linguistica che cerca sempre di dare un significato particolare, specializzato dei nomi dei venti, trascurando questi fatti che invece spingono a cercare in altra direzione: in poche parole si è a mio avviso costretti a concludere, alla luce del mio metodo ormai fin troppo monotonamente e noiosamente richiamato, che gli anemonimi rimandano in genere ad un originario concetto di “vento”, risalendo del resto tutti i termini, a mio avviso, a concetti generici sovraordinati. Proprio strano, poi, è il gallurese (Castelsardo) imbattu che significa ‘Maestrale’ ma in campidanese la parola designa il vento meridionale Austro o lo Zefiro, che spira da occidente. Da notare che anche in italiano imbatto vale genericamente ‘brezza’. Un leggero vento imbat (nome presente pure nel persiano) spira anche lungo le coste turche e africane. Si tratta di un termine abbastanza diffuso nel Mediterraneo e credo che sia fuorviante cercare di individuarne il luogo d’origine, visto anche il variare del suo significato. Penso che esso sia il relitto di un’antichissima radice per vento. Secondo me andrebbe bene per im-bat il confronto con sscr. vat-as ‘vento’, serbo-croato vjet-ar, a. slavo vet-ru ‘vento’, diventato quest’ultimo, per etimologia popolare, *pétrë nell’espressione dialettale aiellese, e di altri paesi della Marsica, che si usava quando si ventilavano i legumi o il grano nelle aie per separarne le impurità e la pula dai chicchi: Ala, san Pie’! ‘Soffia (cfr. lat. hal-are ‘spirare, esalare’), san Pietro!’. Questo Santo evidentemente non aveva nulla da spartire col capo degli apostoli di Cristo ma doveva essere un originario san *Vetrë (probabile nome di un dio del vento), diventato san *Betrë (con frequente passaggio, nei dialetti, della spirante sonora –v- preceduta da parola con nasale finale, alla labiale sonora –b-) e quindi san Pietrë (arcaico Pétrë). Questo vento che in questi casi deve essere blando per permettere ai contadini di svolgere il loro lavoro, può trasformarsi in una vera tempesta nel cosiddetto (in zone dell'Italia settentrionale) Temporale di san Pietro che si svilupperebbe in occasione della festività religiosa del 29 di giugno. Naturalmente non possono mancare storielle, nei luoghi dove ricorre l'espressione, intorno a questa credenza. Il bello è che nel sardo esistono termini che aiutano a capire il significato profondo di questa radice vat,bat sviluppatasi da va- (cfr. sscr. va-ti ‘soffiare’). In logud. imbattu vale anche ‘lancio’, im-bàtt-ida vale ‘foga, slancio’, significati a mio parere compatibili con quello di ‘spinta, vento’; in nuor. im-batt-ic-are vale ‘premere’, im-batt-icu ‘pressione’, cioè l’ impeto proprio di ogni corrente d’aria, debole o robusta che sia: da questo si evince che radici simili come quella di lat. in-vad-ere ’assalire, gettarsi contro, entrare’ e it. im-batt-ersi, dal lat. bat(t)u-ere ‘battere’(considerato di origine sconosciuta) possono ritenersi sue varianti insieme al dialett. vattë ‘battere’. L’italiano impatto, che talora funge da variante per imbatto, proviene da lat. im-ping-ere ‘spingere, battere’, p.p. im-pact-u(m). Em-bat-es o Bat-es è nel greco moderno il nome dell’ imbatto e significa anche ‘raffica di vento’: qui si ritrova la radice di sscr. vat-as’vento’ più sopra citato. Em-bat-eria nel greco antico erano i canti che accompagnavano la marcia militare: la radice è quella del verbo baino ‘vado, procedo’. Non sarà un puro caso, pertanto, se il lat. ventu(m) ‘vento’ sembra indicare la radice di lat. ven-ire ‘venire, andare’ e se l’it. av-vent-are, av-vent-arsi più che al ‘vento’ allude ad un ‘movimento violento’ verso qualcosa. Embate in spagnolo vale ‘improvviso attacco, l’infuriare del vento o del mare, colpo di fortuna, impeto, forza’. Come si può da ciò desumere, tutte le strade portano a Roma, cioè tutte le radici contengono il significato originario di ‘spinta, movimento, forza’ e simili. Ma la linguistica ufficiale non se ne è accorta perché è vittima, a mio parere, del demone della specializzazione che la fa da padrone ai livelli superficiali delle parole, o ritiene le mie scoperte pure elucubrazioni da dilettante nonostante le palmari evidenze che spesso mettono in crisi e contestano, con prove alla mano, le posizioni di illustri studiosi.

Più sopra ho nominato il vento settentrionale salernitano Sal-bora la cui prima componente non può, a mio avviso, essere estranea all’ungherese szél (pr. se:l)‘vento’ ma anche ‘Bora’(in quella lingua il digramma –sz- equivale alla nostra –s- sorda), al veneto sol-ar ‘volare’ e al ted. Seele ’anima’, ingl. soul ‘anima’. La radice sembra ricorrere anche in ungher. szal-ad-ni ‘correre’, ungh. szall-ni ‘volare’, ungh. száll-íta-ni ‘trasportare’. Per cui non darei molto retta al significato di superficie del sassarese ventu Sariddu (da *saliddu ‘salato’) ‘Maestrale’ vento di nord-ovest ma anche ‘Favonio’ vento dell’ovest . Tanto più che anche in log. bentu Salidu è un vento di Ponente. Anche i vari venti che in sardo traggono nome dal sole sono poco credibili, riferiti di volta in volta a varie direzioni. In nuor. bentu de Sole sarebbe nientemeno che il Grecale, vento di nord-est. In log. il bentu Sol-iano può valere di volta in volta ‘vento Grecale (nord-est), Noto (sud), vento di Levante’. Ammesso che venti soliani ‘assolati, caldi’ possano essere definiti gli ultimi due, resta sempre il dilemma del Grecale, spesso confuso con la rigida Bora. La radice di ingl.soul ‘anima’ con le molte varianti germaniche (got. saiwala) assomiglia molto a quella che normalmente si dà per il termine sole (*sawel) per il semplice motivo che l’anima è un soffio, spirito vitale, come il sole è un’ emanazione di luce e calore, tutti concetti simili facenti capo a quello di ‘forza,anima, vita’. Credo che il mio ragionamento sia confermato dal nome latino Sol-anu(m) o Sub-sol-anu(m), vento dell’est. Ma cosa ci fa qui quel sub-? Non credo in effetti che si tratti di normale prefisso sub ‘sotto’ ma di radice che inizialmente aveva lo stesso significato del secondo membro, cioè ‘soffio, vento’. Per lo stesso motivo si ritrova in verbi come suf-fl-are da sub-fl-are ‘soffiare’, su-spir-are da *sub-spir-are ‘sospirare’. Lo si incontra ancora nella radice del verbo it. zuf-ol-are, nell’aiellese zuff-ëlà ‘soffiare’, che rimandano ad una forma *sub-ul-are e *suf-ul-are, varianti rustiche di lat. sib-il-are ‘sibilare’: cfr. a. fr. sub-l-er ‘soffiare’, sp. sop-l-ar ’soffiare’, it. sob-ill-are. Non credo che questa radice sia onomatopeica semplicemente perché non credo nelle onomatopee, come ho chiarito in altro articolo, e perché in questo caso la radice la si ritrova nel lat. sub-are ‘andare in calore (degli animali)’ che è una forma di eccitazione, cioè di agitazione e movimento (secondo il sign. di lat. ci-ere ‘mettere in movimento, muovere, eccitare, ecc.’) come quello del vento. Nei dialetti talora il verbo suvà si è specializzato ad indicare l’eccitazione del verro o della scrofa, per il semplice motivo che si è incrociato con lat. sue(m) ‘porco, troia’. Il sopra citato it. sob-ill-are, più che un ‘sibilare all’orecchio’ per spingere a fare qualcosa contro qualcuno, credo sia da intendere direttamente come ‘incitare, aizzare, mettere in agitazione’ magari con l’idea aggiunta di farlo di nascosto, per influsso del significato di un sub ’sotto, successivamente ed erroneamente supposto all’inizio del verbo. E già! perché precedentemente il lat. sub indicava il movimento dal basso verso l’alto e solo successivamente, in opposizione a super ‘sopra’, assunse il significato di ‘sotto’. Il suo significato d’origine era dunque ben acconcio alla formazione di verbi che indicassero un sollevamento, un’eccitazione, un suscitamento, quest’ultimo dal lat. sus-cit-are, da *su(b)s-cit-are ‘muovere all’insù’. La mia opinione è che la particella avesse originariamente un significato di 'movimento' senza distinzione di direzione. Esisteva in latino anche il vento Sub-vespertinu(m) o Sub-vesperu(m) il quale, benchè indicasse un vento di sud-ovest (Zefiro?) e quindi corrispondente al significato apparente del nome (‘sotto l’Occidente’), non può, per quanto abbiamo osservato prima, che essere interpretato come composto di due membri, ciascuno con il significato di ‘vento’. Per il sec. membro a me viene spontaneo pensare al ted. wisper-n ‘sussurrare’, ingl. whisper ‘sussurrare, bisbigliare’ per quanto questo termine presenti un primo elemento whis- proveniente da hwis- a sua volta da *kwis che presupporrebbe una rotazione consonantica avvenuta molto indietro nel tempo, tanto da verificarsi, oltre che nel germanico, anche in parole latine. Del resto nel mio dialetto di Aielli la ura era il ‘timone dell’aratro’ (cfr. lat. curem ’lancia’), che nel vicino paese di Cerchio ed altrove (Rocca di Botte) suonava cura: la mancata elisione della –a- dell’articolo nell’aiellese la ura sta a significare che il  nome seguente doveva essere preceduto dalla una fricativa sorda –h-, residuo della velare sorda –k-: l’espressione originaria era quindi la *hura. Esisteva comunque anche una radice ves,vis con corrispondenze germaniche riscontrabile nel dialettale viscia(2) (siciliano, ligure) ‘venticello freddo, brezza; (emiliano) buriana, maestrale’ e nel fr. bise ‘tramontana’. La radice non doveva essere molto diversa da quella del lat. vis(s)-ire ‘emettere aria dall’ano’. Un eventuale composto *Ves-boru(m) , col sec. membro uguale a quello del vento Euro-boru(m) già citato, avrebbe fatalmente dato, per etimologia popolare, Ves-peru(m). Alcuni giorni dopo aver scritto quanto sopra, ho trovato, nel sito web citato alla nota 6, il nome di un vento tedesco, il Wisper-wind (regioni del Mittelrheintal e del Rheingau), manco fossi un indovino! In un sito in cui si elencano nomi di venti ho incontrato il nome dialettale Zef-vest per lo Zefiro: il lettore che eventualmente sapesse qualcosa in più su questo nome è pregato di farsi vivo gentilmente con me.

In nuorese il bentu cherbinu, chervinu, gerbinu indica l’orticaria la quale, apparentemente, non avrebbe nulla a che vedere con l’idea di “vento”. Nel DULS (3) di A. Rubattu è indicato anche il significato di ‘vento’ per questa espressione anche se, nella sezione italiano-sardo, compare solo il primo significato. Un umile ricercatore come me è costretto a riflettere che l’erba e bentu (lett. ‘erba di vento’) in sardo indica la ‘parietaria’, erba delle Urticacee, che quindi fa scoccare nel mio cervello la scintilla che spinge a collegare questo nome con quello precedente per ‘orticaria’, per via del termine comune bentu ‘vento’, pur essendo esso estraneo sia al concetto di "orticaria" che a quello di "erba", almeno per le nostre menti di uomini in balia da epoche immemorabili di un linguaggio fortemente specialistico che separa, divide e suddivide spesso nettamente, un concetto dall’altro. Senonchè in questo caso la voce bentu doveva significare ‘erba’ ed essersi pertanto incrociata con un termine simile all’ingl. bine, bind ‘stelo, pollone flessibile’. Ma ciò non basta. Dietro il termine doveva agire anche il significato di ‘attacco violento’ e quindi di ‘eruzione’ sulla pelle in senso medico. Abbiamo incontrato più sopra un significato simile nel verbo av-vent-arsi. E così tutto si chiarisce con stupefacente facilità… faciloneria! correggerà forse qualcuno al quale vorrei chiedere, però, che mi spiegasse lui in un modo migliore, più credibile e scientifico le apparenti assurdità dei significati superficiali di termini che comunque risultano chiaramente legati da segrete corrispondenze. E’ questo un caso paradigmatico perché ci costringe a riconoscere il gioco avventuroso, che qui riesce ad affiorare in superficie (attraverso lo strano comportamento del termine bentu che collega le due espressioni) impedendoci così di negarlo, messo in moto dalle parole con i loro incroci e con il combaciare dei loro significati profondi. Resta ora da spiegare cherbinu con le altre sue varianti. Probabilmente il termine indicava, o almeno avrebbe potuto indicare, anche un ‘vento’ perché esso ha tutta l’aria di essere una variante dell’altro noto anemonimo Garbino, vento di sud-ovest, anche se il Garbin nella parlata di Neresine in Damazia indica un vento di nord-ovest, ma ormai voglio sperare che non saranno le direzioni dei venti a farci perdere la tramontana! Il fatto è che la serie di termini composta da log. cherv-ile, nuor. carv-arju, nuor. arb-arju (da carb-arju), nuor. corv-agliu, nuor. corv-ile, nuor. corb-arju, con radice variamente alternante, uguale a quella di Garb-ino, indicano il ‘bacìo’ cioè un luogo ombroso, esposto a Tramontana. Che queste espressioni sarde derivino dal concetto di ‘Tramontana’ ce lo dice il nuor. corv-arju ‘Tramontana’ appena diverso da nuor. corb-arju ‘bacìo’, probabile ampliamento del lat. Corus, vento di nord-ovest. L’italiano Rovaio ‘Tramontana’ deve essere il risultato di un originario *crovaio, *grovaio divenuto rovaio per la caduta della velare iniziale. Miseria della scienza etimologica ufficiale che annaspa in ipotesi improbabili per questo termine! Ma come si può arrivare al significato di ‘orticaria’ anche per questo secondo termine dell’espressione? Secondo me basta riflettere sul campid. cerb-ai ‘scoppiare’, campid. cherp-ai ‘crepare’ per dedurre che il termine poteva servire anche per l’eruzione sulla pelle. La supposizione è confermata dal nuorese cherfa ‘eruzione (anche se non della pelle)’, nuor. carfia ’fenditura’, nuor. carf-ire ‘fendere’. Giuro di aver scovato questi termini qualche giorno dopo la riflessione precedente. La radice, a mio avviso, non può essere,però, riportata solo al lat. crep-are ‘crepitare, spaccarsi, fendersi’ perché si incontra il campid. cerpiu, in-cerpiu ‘insetto’ che, ricalcando l’etimo di latino in-sectu(m) ‘insetto (cioè sezionato)’ che a sua volta ricalcava quello di gr. en-tomos ‘intagliato,insetto’, deve significare ‘(animaletto) diviso (in segmenti)’. Il sostantivo sardo assomiglia molto al ted. Kerb-tier, Kerf ‘insetto’ dal verbo kerb-en ‘intaccare’ (cfr.ingl. carve ‘intagliare, incidere’) ma sappiamo che la velare sorda –k- in tedesco si suppone provenga da velare sonora –g- di gr. graph-o ‘scrivo’. Potrebbe trattarsi, quindi, di semplice variante: andrebbe bene anche l’ingl. harv-est ‘mietitura, raccolta, vendemmia’, ted. Herb-st ‘autunno, raccolto’ legati al lat. carp-ere ‘staccare, cogliere, scindere in parti, sminuzzare’, lituano kerpù.’taglio con le forbici’, sardo log. carp-ire ‘fendere, incrinare, penetrare’. In latino la variante cerp- ama apparire all’interno di verbo come in de-cerp-ere ‘staccare, strappare’, ma starei ben attento prima di qualificare il fenomeno come apofonia. Nel campid. musca crébina ‘mosca carnaria’, xerbina (pron. appr. gerbina)‘mosca cavallina’ si ripresenta la radice in questione e tutta l’espressione inizialmente poteva indicare anche il “vento” dato che la radice di musca indicava in sardo anche il “sibilo” e simili (4). Ma l’incrocio col nome dell’insetto ha trascinato con sé anche il significato dell’altra parola dell’area di lat. carp-ere, generando il significato specializzato di ‘mosca penetrante, pungente’ dell’espressione. Il nuor. bentu de crab-on-axi ‘vento dei carbonai, Scirocco’ non è altro che una variante di Garb-ino con ampliamento in –ario.

E così arriviamo all’espressione campidanese di musca macedda ‘mosca carnaria, mostro’. Il secondo termine macedda risale al verbo maceddai (cfr. lat. tardo mac-ell-are) ‘macellare’. In log. si ha musca maghedda dal verbo magh-edd-areassalire, macellare, maltrattare’. Il significato di ‘assalire, attaccare’ ci fa capire perché la mosca carnaria ha assunto questo nome, trattandosi di insetto che attacca animali con ferite aperte e in putrefazione, ma potrebbe andar bene anche per il “tafano” . Infatti nella tradizione popolare questa mosca sarebbe un mostro a forma di enorme mosca fornito di pungiglione mortale. In nuor. mac-ula significa ’tacca’, in camp. mac-ul-ai vale 'ammaccare, pestare, macchiare’, in nuor. mag-un-ire (5) significa ‘ammaccare, massacrare’: allora è da supporre che la radice mac-,mag- uguale a quella di mac-ello e anche molto diffusa (cfr. it. am-macc-are, sp. mag-ull-ar'ammaccare', sp. mach-ac-ar 'pestare, schiacciare', sp. maca 'ammaccatura della frutta', fr. macque 'maciulla' ), esprimesse di volta in volta l’impeto di un’azione più o meno violenta. La cosa torna utilissima nello spiegare l’etimo giusto del vento Maestro, da precedente Mag-istro, parola il cui primo membro deve far capo a questa radice che qui esprimerebbe la forza del vento. In serbo-croato (il linguista A. Areddu mette in relazione il protosardo con l’illirico o albanese) si ha il verbo maha-ti ‘agitare, sventolare’ che sarebbe perfetto per il nostro caso come lo è il nome francese del vent de la Magne(6) della Savoia, la cui radice combacia anche con quella di lat. mag-nu(m) ‘grande, potente, forte’: l’espressione campidanese di bentu Mannu (7) ‘Maestrale’, (lett. ‘vento Grande’ dal lat. magnum) conferma tutto il ragionamento, ma che dico! taglia inesorabilmente la testa al toro alla questione e minaccia a testa bassa gli spauriti linguisti che increduli continueranno a negare la verità! Ma c’è di più. In Provenza il Maestrale è chiamato anche Mango-fango (il primo membro deve essere metatesi da *magno: cfr. sscr. manh-ate 'è grande, felice'), diventato per etimologia popolare Mangeo-fango (e simili) per dar vita alla banale (ma molto apprezzata dai linguisti!!!) spiegazione popolare del nome, inteso come ‘mangiatore di fango’ perché il suo spirare asciuga tutto e naturalmente anche il ‘fango’. Ma che non si tratta di ‘fango’ è indirettamente dimostrato dall’altro nome del vento, sempre in Provenza, di Lipo fango’ dove la parola, però, non si presta più a simili interpretazioni che corrono dietro ai significati particolari. Qui ribadisco con forza il mio principio aureo secondo cui  non è mai la storiella, la credenza, il mito a dar origine al nome ma, all'opposto, il nome a dar origine a tutto l'altro, in virtù del diabolico meccanismo degli incroci tra le parole che oltretutto condividono un significato originario comune. Anche l'antropologia culturale farebbe bene a prendere atto di questo fatto. La voce fango assomiglia stranamente (?) al cinese feng (fang)‘vento’ e sembra ampliamento di ingl. fan ‘ventaglio’ che si trae dal lat. vannu(m) ‘vaglio’, recipiente che serviva per separare il grano e altri cereali dalla pula. Ricordo soprattutto le donne che nelle aie si portavano all’altezza del capo il recipiente pieno scuotendolo  leggermente e ripetutamente e facendo ricadere sulla verticale i chicchi puliti in un lenzuolo steso ai loro piedi, mentre un po’ più in là, a seconda della forza del vento, andava ad ammucchiarsi la pula molto più leggera. Si trattava, insomma, di un’operazione di vero e proprio ventilamento, idea che deve essere alla base di questi termini, compreso il fango del Lipo-fango e del Mango-fango. A questo punto sono costretto a mettere in dubbio l’etimo di ted. Föhn ‘vento caldo di caduta, uragano, tempesta’ fatto derivare  dal lat. Favoniu(m)’Favonio’. Ma, tanto per cominciare, l’etimologia corrente che trae in ballo il lat. fav-ere ‘favorire’ col pretesto che il vento ‘caldo’ di sud-ovest o ovest favorisce i coltivi e la vegetazione, dovrebbe cadere non appena si guarda al significato di tosc. fogno ‘bufera di vento e nevischio’, variante dialettale di Favonio insieme ad altre come Faùgnë. La vera radice di Fav-onio è pertanto, a mio avviso, simile a quella di a. ingl. waw-an ‘soffiare’ che è stata produttiva anche da noi con l'espressione bava di vento o semplicemente bava ‘vento leggero ma persistente’ e che è un raddoppiamento di quella di sscr. wa-ti ‘soffiare’ già incontrata. Ma i linguisti, in tutt’altri meccanismi affaccendati, non si sognano nemmeno simili accostamenti che a me sembrano lampanti. Essi danno per bava (dial. vava) ‘liquido viscoso che fuoriesce dalla bocca’ un etimo onomatopeico, comoda valvola di sfogo per ogni difficoltà, e mi pare che non avvertano nemmeno la necessità di spiegare il significato di it. bava ‘vento leggero’, perché forse lo ritengono metafora dell’altro. Contenti loro! Le vertiginose corrispondenze originarie tra le parole si trovano ad un livello molto più profondo di quello delle metafore superficiali cui siamo abituati! Si incontrano idronimi tipo Acqua del Vento, Rio del Vento (Italia), Winds-bach ‘Rio (Bach) del Vento (Wind)’ (Germania) che, a mio avviso, collegano l’ acqua al vento, perché ambedue gli elementi erano forme viventi agli occhi di chi vedeva la realtà animata da spiriti. La stessa problematica rispunta nel nome greco del vento Lip-s, gen. Lib-ós ‘vento di sud-ovest, Libeccio’ inteso come ‘piovoso’ per influsso della radice di gr. leib-o ‘stillo, verso, spando’. Ma a mio avviso la radice l’abbiamo incontrata già in uno dei nomi provenzali del Maestrale, cioè Lipo-fango! Pertanto sono da scartare inesorabilmente tutte le spiegazioni che puntano a concetti particolari per il Lib-eccio (Libia, pioggia, ecc.), nome che sarà, invece, un ampliamento del precedente.

In campidanese il Maestrale è chiamato anche bentu Estu che non può significare ‘che spira da destra (estu ‘destro’)’ né può essere accorciativo di Ma-estro (camp. bentu Ma-istu) ma solo il suo secondo membro –estro molto probabilmente simile al gr. oistr-os ‘tafano, pungiglione, estro, furia’, dalla radice di gr. oi-mai ‘assalire’, significati ad hoc per nominare un vento. Non sarà certamente un caso se la voce mastrë del dialetto di Luco dei Marsi e di altri paesi indica, oltre al mastro o maestro, anche il sussi, gioco che consiste nel lancio di piastrelle. C’è un’espressione curiosa riportata nel Voc. Abruzz. del Bielli che è la seguente: Va spèrzë gnë ll’ànëmë dë lu mastrë d’attë ‘Va ramingo per il mondo’, lett. ‘Va sperso come l’anima del maestro d’atti (cancelliere)’. Perché mai l’anima dei cancellieri sarebbe dovuta andare raminga per il mondo, quando invece essi generalmente operavano, al contrario, presso un tribunale o nella corte di un principe? Non ci sono interpretazioni attendibili, a meno che uno non si accontenti di qualche spiegazione purchessia, come si è soliti fare, spesso anche da parte degli studiosi. Col mio metodo interpretativo si va, se non altro, direttamente all’osso rompendo il circolo vizioso delle spiegazioni che si rincorrono a vicenda ancorate al significato risaputo dei termini come in un gioco ingannevole di specchi che impedisce di uscire dal cerchio fatale dell’apparenza superficiale. Io vedo nell’espressione un cumulo di tre termini per ‘vento’, parola che vi andrebbe a fagiolo: infatti quale paragone sarebbe più appropriato di quello del vento per un anima perduta e vagabonda? I termini sono appunto anima (cfr. gr. anemos ‘vento’), mastre (da maestro nel senso di’vento’), e ted. Atem ‘fiato, alito’ con gr. atm-os ‘vapore’. Se qualcuno ha una spiegazione più credibile, si faccia avanti. Alcune espressioni tradizionali, come succede per taluni toponimi, attraggono lentamente, col passare del tempo e il variare delle aree linguistiche in cui esse si diffondono, i termini relativi allo stesso concetto usato in successione diacronica e diatopica (non arricciate il naso dinanzi a queste parole, diciamo così, specialistiche! Non ho fatto altro che ripetere il concetto della variazione nel tempo e nello spazio!)

Che il vento di Tra-montana sia da intendere come ‘vento che viene da oltre (lat. trans) i monti’ non lo crederei nemmeno se fosse vero. Il log. Tra-ventu ‘vento di mare’ può aiutarci a capire che si tratta del solito composto tautologico. La radice di lat. monte(m) indica essenzialmente una ‘spinta, sporgenza’, la stessa che anima un vento. Il lat. mente(m) equivale secondo me a spiritu(m) ‘soffio, spirito’ e si collega a gr. men-os ‘impeto, ardore, furore’. L’attività del pensiero è espressione di una tensione dello spirito. Mi scuso con i lettori se non vado molto a fondo in questo caso, ma è utile rileggere quanto ho scritto nel post Etimo di “tramontare” nell’ottobre del 2010 e nel post A volo d’uccello del dicembre 2011. Voglio chiudere con un nome di vento registrato dal Vocab. Abruzz. del Bielli, cioè Sfratta-campagne, nome che il Libeccio assume d’inverno perché manderebbe via presto la neve. In realtà il primo membro non è altro che la radice di italiano arc. sferat-oio o sferrat-oio detto di vento impetuoso: facile è il confronto con la radice di Sfratta-. Inoltre lo Sferatoio (8) in toscano è un ‘vento molto fresco e violento’. Ma l’illustre linguista M. Cortelazzo, che spiega questa voce nel libro indicato nella nota 7, ama invischiarsi in una spiegazione che attribuisce l’origine del vocabolo alle ancore (ferri), le quali non resisterebbero alla forza del vento che trascina via l’imbarcazione. Si trova sempre una spiegazione purchessia, anche se la più banale e meno probabile, che ricalca i modi dell’etimologia popolare! E così non ci si accorge che queste spiegazioni che rimandano a situazioni particolari non fanno altro che assecondare la credibilità ingannevole dei significati superficiali, magari di volta in volta diversi, come avviene qui (ancore, sfratto) e che in questo modo le parole ci menano impunemente per il naso. Eppure io non credo di essere un genio (la mia vita è passata ahimè tutta all’ombra della modestia ritrosa e dell’invisibilità silenziosa! Destino comunque più dignitoso di quello degli spigliati presenzialisti e degli indaffarati politicanti di ogni risma pronti a promettere, spendere e spandere su tutti i fronti, spuntati come funghi sul suolo dell’Italietta provinciale che, iniziata a crescere nel dopoguerra, stuzzicava così il loro vasto,  ingordo e immorale appetito), un genio che vede cose che altri non sanno e non possono vedere! E, d’altro canto, queste mie osservazioni linguistiche non mi appaiono prive di qualsiasi fondamento, frutto di pura fantasia e vanità, tanto da poter essere a cuor leggero scartate!

Per parte mia individuerei nella radice in questione anche quella del vento Z(e)f(i)r(o). L’it. sferr-are, nel significato di ‘lanciare con forza, attaccare’ non può derivare da ‘ferro’ con s- estrattivo ma scaturisce da questa radice per ‘vento’. Per -campagna rimetto a qualche volonteroso la ricerca di una radice adatta al ‘vento’suggerendogli il confronto con il nuor. bentu campinu, bentu de campu ‘maestrale’, vento che, come tutti gli altri, scorre certamente libero per la campagna, ma in questo senso non ci sarà di aiuto. Io mi sento un po’ stanco, e qui mi fermo, sperando che un buon vento mi culli portandomi con sé leggero e beato in più spirabil aere dove i problemi linguistici, insieme alla gran caterva degli altri che assillano l’umanità, svaniscono in un sibilo appena avvertibile, quasi insignificante. Buttatimi alle spalle questi spinosi, anche se nel contempo esaltanti problemi, permettetemi di ricrearmi nell’atmosfera leggera, divina e profonda della poesia Elévation di Charles Baudelaire:




                            Elévation



Au-dessus des étangs, au-dessus des vallées,
Des montagnes, des bois, des nuages, des mers,
Par delà le soleil, par delà les éthers,
Par delà les confins des sphères étoilées,


Mon esprit, tu te meus avec agilité,
Et, comme un bon nageur qui se pâme dans l’onde,
tu sillonnes gaiement l’immensité profonde
Avec une indicible et mâle volupté.


Envole-toi bien loin de ces miasmes morbides;
Va te purifier dans l’air supérieur,
Et bois, comme une pure et divine liqueur,
Le feu clair qui remplit les espaces limpides.


Derrière les ennuis et les vastes chagrins
Qui chargent de leur poids l’existence brumeuse
Heureux celui qui peut d’une aile vigoureuse
S’élancer vers les champs lumineux et sereins;


Celui dont les pensers, comme des alouettes,
Vers les cieux le matin prennent un libre essor,
—Qui plane sur la vie, et comprend sans effort
Le langage des fleurs et des choses muettes!




                        Elevazione

Al di sopra degli stagni, al di sopra delle valli
Delle montagne, dei boschi, delle nubi, dei mari,
Al di là del sole, al di là dell’etere,
Al di là dei confini delle sfere stellate,

Mio spirito, tu ti muovi con agilità,
E come un bravo nuotatore che si bea nell’onda,
Tu solchi gaiamente l’immensità profonda
Con indicibile e maschia voluttà.

Fuggi lontano da questi miasmi pestiferi;
Vai a purificari nell’aria superiore
E bevi, come un puro e divino liquore,
Il fuoco chiaro che riempie gli spazi limpidi.

Deposti gli affanni e i dolori devastanti
Che opprimono col loro peso l’esistenza brumosa,
Felice colui che può con ala vigorosa
Slanciarsi verso plaghe luminose e serene;

Colui i cui pensieri, come le allodole,
Liberi verso i cieli si librano al mattino,
—Che plana sulla vita, e comprende divino
Il linguaggio dei fiori e delle cose mute!



Note:

(1)Cfr. N. Bracco, Piccolo Dizionario dell’antica parlata di Neresine, sito web http://www.arcipelagoadriatico.it/saggi/dizionario/  

(2) Cfr. M. Cortelazzo- C. Marcato I Dialetti Italiani, UTET, Torino 1998, sub voce.

(3) Cfr. sito web http://www.toninurubattu.it/ita/DULS_SARDO_ITALIANO.htm  sub voce.

(4) Cfr. il mio blog Meditazioni Linguistiche, post  Zitto e mosca del luglio 2011.

(5) Con questa abbondanza di termini sardi che significano ‘pestare, ammaccare’ e simili non credo necessario connettere strettamente l’it. mac-ina ‘mola’ al lat. machina dal gr. dor. machaná ‘macchina’ benchè le due parole derivino da radici, se non uguali, simili.

(6) Cfr. sito web http://www.mondorf-wetter.de/regiowind/lip_regiowind.htm

(7) Anche questo nome, che deve essere comparato con ted. moeg-en 'potere' e ingl. may 'potere', l’ho scoperto dopo diversi giorni dalla stesura del testo. Il suo signif. di 'grande, forte', che potrebbe sembrare giusto, farebbe in fondo torto al Maestrale che, come tutti i venti, può essere forte ma anche moderato o addirittura debole. Il suo camuffarsi nella forma provenzale Mango- dovrebbe però dissipare ogni residuo dubbio sul significato del sardo bentu Manno, da lat. magnu(m) ‘grande’. Ma l’incredulità degli studiosi può raggiungere vette inaccessibili!

 (8) Cfr. M. Cortelazzo-C. Marcato I Dialetti Italiani, cit.




.

  •