sabato 18 giugno 2011

Il curioso della "naticchia " e del "nottolino"



Credo sia a quasi tutti nota (almeno a quelli che si interessano, sia pure per diletto — che in fondo è il modo migliore per farlo!— , di questioni etimologiche) la derivazione della dialettale naticchia, cioè di un termine corrispondente all’it. sali-scendi. Ogni linguista che si rispetti sfodera la sua latina anaticula(m) ‘anatrella’ per via della presunta o vera somiglianza del ‘chiavistello’ al domestico animaluccio anfibio o al suo becco: una volta stabilita questa corrispondenza, la parola sarebbe stata poi estesa al sali-scendi anche se non se ne vede bene la ragione, dato che l’uno è alquanto lungo anziché no e serve a chiudere in genere porte passando attraverso anelli infissi alle stesse, mentre l’altro è ridotto spesso a un segmentino di legno o di metallo, ruotante intorno ad un perno e poggiante, all’altro estremo, su un gancio, e serviva a chiudere soprattutto gli scuretti delle finestre più o meno rustiche di una volta. Ma ammetto che la distinzione non ha valore alcuno di convincimento e che essa pecca della stessa restrizione di idee che generalmente rimprovero ai linguisti. Nessuno, però, che io sappia, ha avuto qualche secondo a disposizione per riflettere sul fatto che i due termini, almeno in apparenza, potrebbero tradire, se messi alle strette, un’origine diversa da quella che si suppone per naticchia, ma tuttavia sorprendentemente uguale per ambedue. In effetti naticchia sembra essere, più probabilmente, un diminutivo *nati-cula(m) di lat. nat-e(m) ‘natica’, non di lat. anate(m) ‘anitra’, mentre nottolino, se appena se ne toglie la crosticina dovuta al suo quasi inevitabile incrocio con lat. nocte(m) ‘notte’, è costretto a richiamare il corradicale termine greco nôt-on ‘dorso, tergo, spalle’, che può essere considerato, come i linguisti affermano, variante di lat. nat-e(m) ‘natica’. Ora, il concetto di ‘dorso, natica’ è compatibile con quello di ‘protuberanza’ (in effetti nottola vale anche ‘pomo di legno tornito con funzione di sostegno o di ornamento’ (1), e quindi avrebbe potuto indicare anche un’escrescenza, paletto, stecco, stecchino, significati che farebbero proprio alla bisogna per denotare la spranghetta di legno o metallo della naticchia o nottolino o saliscendi, con una esibizione di precisione, quest’ultimo, che ne coglierebbe il movimento all’ingiù di aggancio (-scendi) e all’insù di sganciamento (sali-) dal nasello di cui ho detto. E’curioso, ma questa definizione sarebbe andata a pennello anche per il pomo d’Adamo aduso, soprattutto quando è ben in evidenza, a spostarsi su e giù seguendo il movimento di una bocca che deglutisce, significato (questo di pomo d’Adamo) che però spunta, sia pure come obsoleto, tra quelli del termine nottolino, e non tra quelli di sali-scendi. Che peccato! potrebbe a questo punto esclamare chi è abituato a seguire questi ragionamenti quando si tratta di stanare qualche etimo, ma noi, cui la Lingua ha insegnato perlomeno ad essere un poco guardinghi e a non porgere facile orecchio ai significati di superficie che indicano vistosamente la funzione cui sarebbe deputato un referente o il suo modo di comportarsi, volgiamo indifferenti gli occhi altrove e troviamo giusto e naturale che una radice, il cui significato di fondo richiama la ‘protuberanza’, si presti a significare anche il pomo d’Adamo, il quale, nonostante la sua aura di antica nobiltà religiosa, è pur sempre un nome che indica, appunto, la piccola protuberanza nel collo degli uomini che, a mio particolare avviso, potrebbe trovare la ragione della sua specificazione anche nel semplice nome del Monte Adam-ello nel Trentino, o in quello di Monte Adamo a Castelplanio-An., ad esempio, senza dover ricorrere al povero Adamo della Bibbia che si fece abbindolare, come sempre, dalla più maliziosa e vorace Eva. E’ curioso, ma l’oscillazione tra la radice nat- e not- la si ritrova anche nel binomio natola(2) ‘incavo dello scalmo in cui si appoggia il remo’ e nottola(3) ‘tipo di scalmo che ha lo scopo di evitare lo sfregamento del remo contro il fianco di un’imbarcazione’: a me pare che si tratti, sostanzialmente, di un unico referente, lo scalmo, indicato da due varianti della stessa radice e caratterizzato, ai suoi primordi, da una caviglia di legno, cioè qualcosa di molto simile ad una spranga su cui poggiare e legare i remi.

E’ un vero miracolo se i linguisti non hanno preso ad avvicinare il nottolino, detto anche nottola, all’uccello notturno chiamato nottola, nome che indica la ‘civetta’ o il ‘pipistrello’. In fondo si tratta sempre di volatili come l’anitra (anche se quest’ultima non passa le giornate volando come il pipistrello le notti ), ma l’aspetto un po’ ripugnante del pipistrello o la nomea popolare della civetta avranno scoraggiato ogni tentativo da parte di chiccessia di iniziare una simile operazione. Mi sbaglio: il DELI(4) lo fa, con l’annotazione che già in latino usava riferirsi all’oggetto con nomi di animali (si rimanda alla supposta anaticulam ‘anatrella’?).

Il significato di sali-scendi, dicevamo, è troppo descrittivo, razionale, per poter essere considerato con qualche probabilità quello originario: in effetti la componente -scendi (da lat. scand-, che all’interno di parola muta in –scend-) mi pare troppo pericolosamente vicina a lat. scand-ula(m) ‘assicella’ perché la radice di questa non debba essere presa per buona ad indicare proprio il ‘nottolino’; la componente sali-, d’altronde, potrebbe tautologicamente rinviare all’ it. sala ‘erba palustre’ o anche al lat. sal-ice(m) ‘salice’ in quanto ‘piante’, abruzzese sajjòcche 'randello con capocchia' da *sall-òcche, ma non è sgradito l’intervento diretto di it. sala ‘ asse delle ruote’, fatto derivare da un lat. tardo *axalem (lat. axe(m) ‘asse’) non so con quanta verità. Il saliscendi certamente non rinuncia a sfruttare tutte le sue possibilità espressive, offertegli dai verbi con cui si incontra in latino e in italiano: esso indica infatti anche una ‘successione di tratti in salita e in discesa’ nonché il ‘viavai lungo una scalinata’. Ma la radice scand- in latino fa intravedere altre sue possibilità quando passa a significare la suddivisione del verso nelle sue parti (cfr. lat. scand-ere ‘scandire’), sicchè un’idea di ‘taglio’, la quale è una specializzazione della ‘spinta’ iniziale che sta dietro il suo ‘salire’ o ‘scendere’ (movimento), mi sembra che si installi al suo interno, idea che riappare nel ted. Schanze ‘ trincea’ e nel primo membro di it. scanna-fosso ‘fosso di scolo’ sottoposto ad assimilazione progressiva, da *scanda-. Ne avevo dato una spiegazione leggermente diversa nell’articolo sulle parole di Scanno-Aq. ma fondamentalmente in linea con l’attuale interpretazione. Il ted. Schanz-pfahl ‘palizzata’ (letter. ‘palo da trincea’ è uno di quei composti che, partito come tautologico (cfr. lat. scand-ulam ‘assicella’ sopra ricordata), si è ritrovato ad essere uno dei tanti composti germanici in cui il primo membro specifica il secondo, in questo caso –pfahl ‘palo’. Non credo affatto che questi composti di natura squisitamente cerebrale e descrittiva siano potuti nascere a tavolino, per quanto essi a volte abbiano una forza di seduzione e convincimento senza pari: bisognerebbe tenere sempre presente , però, il pensiero di Saussure (che ho spesso rammentato e di cui egli stesso ignorò la vastissima portata — o, meglio, della cui portata si rese conto ma senza poi estenderla ad abbracciare i significati in modo così radicale—, che ho fatto mio e che vado verificando quasi ad ogni passo) secondo cui dovremmo toglierci dalla testa che la lingua sia un meccanismo creato e ordinato in vista dei concetti che deve esprimere: essa tende sempre a sfruttare una situazione precedente, che era caratterizzata spessissimo, come in questo caso, da materiale di riporto, spesso tautologico. Da prendere in osservazione anche l’it. scand-aglio , in cui si consuma l’incrocio tra l’idea di misura, scala e quella di cavità, profondità, e l’it. scansìa ‘scaffale’.

Non rallegriamoci troppo facilmente, però, perché la Lingua potrebbe darcela a bere ancora una volta con la nottola quando indica i due volatili notturni, la civetta o il pipistrello (già questa oscillazione è sospetta!). Le insidie della lingua, come quelle della vita, sono molto più numerose e subdole di quanto pensiamo. Già!, bisogna stare con le orecchie dritte, guardarsi dai nomi che non indicano direttamente i referenti ma, come in questo caso, solo la parte del giorno, la notte, in cui questi volatili sono attivi. Si tratta, in effetti, di una variante di quei casi in cui, invece, viene indicata la funzione dei referenti. La lingua non ama girare attorno ai concetti da esprimere, anche se può apparire il contrario. Mettiamocelo bene in testa una buona volta, e allora potremo evitare, se Dio vuole, di dar di cozzo e romperci le corna contro gli ostacoli, come chi è cieco o vede male per qualche infermità degli occhi. Altrimenti finiremo anche con l’arrogarci il diritto di poter arzigogolare, ad esempio, che il nottolino è così chiamato perché chiude gli scuri o scuretti i quali, come dice il loro nome, portano l’ oscurità o la ‘notte’ nella stanza. Ma, ahimè, questo ragionamento non farebbe molta strada perché saremmo costretti a riconoscere che l’etimo del nome scuro (lat. ob-scur-um ‘oscuro’) ci porta in area germanica a contatto nientemeno che con le scarpe (cfr. ted. Schuh ‘scarpa’, ingl. shoe ‘scarpa’, ingl. sky ‘cielo’, in quanto ‘volta’, ‘cupola’ del cielo che, benchè luminoso come è spesso nella nostra bella Italia, avvolge comunque e copre idealmente tutto il bello e il brutto della Terra) le quali, più che l’oscurità, offrono un riparo, una copertura ai nostri poveri piedi, di giorno più che di notte quando in genere dormiamo e ne facciamo volentieri a meno, facendoci così balenare nella mente che il significato originario della radice o, meglio, quello immediatamente precedente ad ob-scuru(m) ‘oscuro’, indica più semplicemente un coperchio, un qualcosa che nasconda e ripari, uno scuro, appunto, che preferiremmo ci separasse soltanto da sguardi indiscreti e non portasse l' oscurità all'interno ! Ancora una volta la verità etimologica la troviamo in seno alla natura del referente che in questo caso è primariamente quella di ‘coprire’, secondariamente quella di ‘oscurare’. Ma se vogliamo essere ancora più radicali siamo costretti ad ammettere che uno scuro, prima di essere piegato a svolgere la sua funzione di ‘copertura’, era generalmente una tavola, come nell’abruzzese scurréttë (5) ‘asse sottile e lunga’, con raddoppiamento della consonante pretonica. Se, come cuccioli desiderosi di esplorare il mondo, troppo prematuramente e audacemente ci allontaniamo dalla sicurezza della tana costruitaci dai genitori e dalla bontà del seno materno che ci dona latte genuino, lasciandoci allettare dai mille, vistosi e accattivanti richiami che provengono dall’esterno, pagheremo a nostre salatissime spese il pur legittimo desiderio di conoscere. Perché la Natura all'esterno non ha riguardo alcuno per noi se siamo indifesi, e, se vogliamo sopravvivere e avere successo con le nostre forze nella spietata lotta per l'esistenza che vi si svolge, dobbiamo commisurare i passi alla nostra acquisita capacità di difesa dagli attacchi nemici (soprattutto quelli imprevisti, che sono, in genere, i più micidiali), capacità che si potenzia di molto se riusciamo ad individuare i punti deboli dei nostri avversari.

Dicevo più sopra che già l’oscillazione di significato dell’italiano nottola ‘civetta, pipistrello, succiacapre, miliobate —un pesce’ (da lat. noctuam ‘nottola, civetta’), depone a favore di un significato originario che valesse per ogni animale, come del resto attesta l’ormai nota intercambiabilità dei termini per i piccoli animali di cui ho parlato in altro articolo; naturalmente l’incrocio con il lat. nocte(m) ‘notte’ ha contribuito a non far allontanare l’originaria nottola dai limiti temporali in cui questi uccelli sono attivi. Ma è da scommetterci che la vera radice si nasconde sotto quella di ingl. neat ‘bove, mucca, vitello, toro’; a.a.t. nōz ‘capo di bestiame’; dial. nicchia ‘mucca’ (a Villapiana-Cs) da un lat. *nitela(m), *nitula(m); lat. nitela(m) ‘scoiattolo’; lat. nitedula(m) ‘topo campagnolo’; sardo logud. boes de notte (buoi di notte) ‘esseri fantastici a forma di bue che annunciano la morte imminente’ in cui si nota l’incrocio anche con la radice di lat. noc-ere ‘nuocere’, lat. nec-are ‘uccidere’, gr. nék-ys ‘morto’; gr. nōt-éus ‘bestia da soma’ incrociatosi con gr. nôt-on ‘dorso’ già citato, il quale meriterebbe altre osservazioni che rimando ad altra occasione; ingl. colloquiale neddy ’somaro, cavallo’, naturalmente non in quanto abbrevazione di Edmund, Edgar, Edward i quali certamente si chiederanno stupiti, e un po’ risentiti, perché mai i loro diminutivi abbiano potuto fare quella fine come i linguisti sosterranno. A me sembra chiaro che, tra le moltissime possibilità di specializzazione che ogni termine per 'animale' ha, come il precedente, saranno scelte dalla lingua con maggiore probabilità quelle che sono suggerite in qualche modo dalla parola con cui si incrocia: proprio per questo, insomma, tutti gli uccelli indicati da nott-ola hanno abitudini notturne, tranne il pesce miliobate, credo. Comunque non è esclusa la possibilità che la radice di lat. nocte(m) si prestasse ad indicare, come tutte le altre, anche ‘animali, uccelli’: in questo caso resterebbe la stessa preferenza della lingua ad indicare, con quella radice, gli animali attivi durante la notte.

Concludendo, mi pare utilissimo fare questa riflessione: se in una materia così minuta e poco coinvolgente, come quella dei nomi relativi al “saliscendi”, sono così numerosi i trabocchetti e gli incontri sulla strada dell’etimologia, che cosa non bisogna essere pronti ad attendersi quando si tratta di spiegare parole e brani densissimi di tradizione orale e che hanno animato per millenni il sentimento religioso dell’umanità attirando continuamente l’attenzione su se stessi, come quelli dell’Antico Testamento?



Note

(1) Cfr. T. De Mauro, Il dizionario della lingua italiana, Paravia, Milano 2000.
(2) Cfr. T. De Mauro, cit.
(3) Cfr. T. De Mauro, cit.
(4) Cfr. M. Cortelazzo/P. Zolli, Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, Mondolibri S.p.A., Milano 2005.
(5) Cfr. D.Bielli, Vocabolario abruzzese, Adelmo Polla Editore, Cerchio-Aq 2004.

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