martedì 11 gennaio 2011

Paralipomeni dell'articolo "Con questi chiari di luna"

Scorrendo il Vocabolario mantovano-italiano di Francesco Cherubini, Milano 1827, mi sono imbattuto nelle seguenti espressioni contenenti la voce lov ‘lupo’:

1. Scur come in bocca al lov. ‘Buio come in bocca’

2. Mal d’ la lova. ‘Mal della lupa o del lupino. Fame canina’

3. Lov. ‘graffi. Uncini per ripescare le secchie’

Ora, riflettendo un po’ sulla prima locuzione, che letteralmente e integralmente vale ‘buio, scuro come in bocca al lupo’, ci si accorge che essa, oltre ad essere pletorica in quanto coinvolge la bocca di un lupo, quando –come è messo in evidenza dalla versione italiana- è sufficiente la bocca di qualsiasi essere vivente, è, anche così, una specie di sgorbio per ciò che concerne il significato, proponendo essa di individuare un massimo di oscurità dentro una bocca. Se si analizzano altre espressioni che rendono lo stesso concetto di forte oscurità non si nota la stessa sfasatura tra forma e significato. Dire, infatti, nero come la pece oppure nero come la morte non ci costringe ad un soprassalto di riflessione perchè sappiamo che la pece è nera (o scura) e che la morte, che si configura come la perdita della luce degli occhi e del giorno, ben rappresenta il "buio" come tale e in effetti la Morte veniva spesso effigiata con un mantello e cappuccio neri. Di conseguenza viene da pensare che l’espressione in oggetto abbia subito, partendo da origini molto lontane, degli inevitabili rimaneggiamenti, ritocchi, adattamenti nell’attraversare strati linguistici diversi per approdare ai nostri tempi.
Nell’articolo precedente, rispondendo ad osservazioni di Angus Walters fatte nel suo commento, portavo l’esempio del detto latino Lupus in fabula, espressione che indicava lo spegnersi della conversazione all’arrivo improvviso della persona di cui si stava parlando, e sostenevo che il termine lupus nel caso in questione nascondeva probabilmente proprio il significato di ‘morte’, in base a radici etrusche e sanscrite. Sarebbe pertanto possibile che questa espressione Scur come in bocca al lov sia partita all’origine col significato di 'scuro (nero) come la morte': l’aggiunta della parola bocca potrebbe essere dovuta all’incrocio del termine lov ‘morte’ prima con una radice omofona per ‘bocca, cavità’ e successivamente, o contemporaneamente, con un’altra per ‘lupo’. In questo frangente si sarebbe automaticamente originata l’espressione pletorica che parla della bocca del lupo. Si ripete in un certo senso lo stesso cliché da me individuato per l’espressione In bocca al lupo! che è stata oggetto di riflessioni nell’articolo, presente nel blog (anno 2009), che porta lo stesso titolo.
Quanto al significato generico di ‘cavità’ della radice lov, lop, lup sono indicative le numerose (una decina) Valli o Fosse del Lupo (Lup-ara) ricorrenti nella Marsica (Aielli, Pescina, Collelongo, ecc.) e altrove ma, più interessanti al riguardo, data la facile scappatoia che solitamente il toponimo offre a chi, a torto o a ragione, non vuole condividere le mie idee, sono i termini greci come lop-ós (tazza, buccia, pelle), lop-ás ‘scodella, padella, bara, ostrica’, suggerenti tutti un’idea di ‘cavità’ alla loro base.
Mal d’ la lova, la seconda espressione in oggetto, richiama le voci italiano-dialettali allupare, allupato contenenti l'idea di una ‘gran fame’, anche di...sesso, e credo che abbiano poco a che fare con l’animale lupo: è il solito incrocio che nasconde la presenza sottostante di una variante, a mio avviso, della radice di lat. lib-ere, lub-ere ‘piacere’, ted. Liebe ‘amore’, ingl. love ‘amore’. L’amore è espressione di un forte desiderio come del resto la fame (cfr. l’articolo Il vastissimo significato d’origine delle parole, novembre 2010). E’ noto il significato di lat. lupa ‘lupa, prostituta’ e di lat. lupanar ‘lupanare, postribolo’ aventi la stessa radice, per così dire, ‘libidinosa’.
L'espressione Mal del lupino si sarà originata da una precedente che suonava probabilmente Mal lupino, cioè fame da lupo. La fame canina credo che non abbia rapporti con i cani, ma con qualche radice di sostrato variante di quella dello spagnolo gana 'voglia, desiderio'. Non è un caso se nel Vocabolario abruzzese di Bielli, più volte citato nei miei articoli, compare la voce cagnascìe 'foia, libidine' che presenta una base can- rintracciabile, a mio avviso, anche nell'espressione Povero in canna 'povero senza mezzi di sostentamento, povero al massimo', espressione che può trovare finalmente la sua pace nell'interpretazione calzante e naturale Povero alla fame. Degne di attenzione in questo senso sono le espressioni trovate sotto la voce can del Vocabolario mantovano-italiano sopra citato che suonano Essar al can, essar di can 'essere in malora, al verde' . Questa base può aiutarci a capire che la voce 'ncagnarse (molto diffusa nei dialetti) 'incollerirsi, indispettirsi, irritarsi, ecc.' può ricavare la sua 'irritazione' non dai cani, che non passano la vita a digrignare i denti e abbaiare minacciosi, ma proprio da questi significati come 'libidinoso' o 'affamato' che di per sè sono espressione di una 'eccitazione' o di una 'furia' molto simili a quella di chi si adira. E' chiaro che il termine, una volta incontratosi con quello omofono di cane, comincia a perdere la sua autonomia e alla fine è costretto a cedere a quest'ultimo le sue credenziali, tenuto conto (questa volta a proposito) del fatto che il cane in certe occasioni abbaia furiosamente, come quando deve allontanare o impaurire chi si appresta a violare o ha violato lo spazio appartenente al suo padrone. Quanto al significato di ‘graffi, uncini’ per la forma lov faccio notare soltanto che il lat. lupu(m) significava anch’esso ‘lupo,uncino, luppolo (pianta)’ dicendoci così che vasto era il ventaglio dei suoi significati, tra i quali spuntava, a mio avviso, anche quello di ‘protuberanza, escrescenza, punta’ da raffrontare con l’it. lobo, di ascendenza greca.