venerdì 8 ottobre 2010

Considerare, desiderare, assiderare

L’etimologia che va per la maggiore per questi verbi è incentrata sulla parola latina sidus ‘stella, costellazione, stagione’ d’origine sconosciuta. A favore di questa interpretazione milita il fatto che i latini (e non solo) erano soliti osservare le stelle a scopi augurali perchè da esse sarebbero venuti influssi vari che determinavano il destino di ogni uomo e il decorso degli eventi. E questa credenza è arrivata fino a noi se è vero che ancora oggi diciamo, ad esempio, che uno è nato sotto una buona o cattiva stella e che molti sono quelli che consultano gli oroscopi che giornali o trasmissioni televisive ci offrono in abbondanza.
Date le difficoltà che a mio avviso si presentano nel riportare al concetto di ‘stella’ il significato di questi verbi, come vedremo più sotto, io penso che il problema fondamentale sia quello di appurare in qualche modo l’etimo di lat. sidus nel cui ambito potremmo trovare un significato più naturale e adatto a spiegare i valori dei tre verbi. In altri termini io sono convinto che questi valori non debbano essere visti in connessione col significato storico di sidus ‘stella’ ma con quello della sua purtroppo ignota etimologia.
Il lat.con-sider-are ‘osservare bene, considerare, ponderare’ sarebbe composto dalla radice –sider- di lat. sidus, gen.sider-is ‘stella, costellazione’ preceduto dal prefisso intensivo con-. Il suo significato, però, non corrisponde, ad esempio, a quello del termine latino con-stell-atione(m) ‘posizione degli astri’ di simile struttura, e si presume, ma non so con quanta veridicità, che il suo significato originario sia stato quello di ‘osservare le stelle’ in base, appunto, alla pratica dell’osservazione di esse ad uso augurale o semplicemente astronomico, ma se così fosse ci sarebbe un’intrusione del concetto di ‘osservare, guardare’ non facilmente giustificabile: il concetto di ‘stella’ dovrebbe a mio avviso comportare naturalmente quello di ‘brillare’ o anche quello di it. co-stell-are ‘diffondere, disseminare (come se si trattasse di stelle sparse nel cielo)’. Gli aggettivi latini stell-ante(m) ’stellato, scintillante’ e stell-atu(m) ‘stellato, fulgente’ possono far supporre l’esistenza di un verbo, inusitato in latino, come *stell-are dal medesimo significato fondamentale: come si vede, però, non si va oltre l’idea della ‘luce’ o, al massimo, della ‘forma’ o 'disposizione' delle stelle.
Il lat. de-sider-are ‘desiderare, sentire la mancanza’, poi, costringe gli etimologi a contorsionismi notevoli nel tentativo di spiegarlo facendo perno sul significato di ‘stella’. C’è chi dà al prefisso de- un valore intensivo ottenendo un significato del verbo simile a quello di con-sider-are, nel senso di ‘guardare attentamente (o cupidamente) le stelle e, quindi, ‘fissare cupidamente qualcosa, bramare’, e c’è chi dà ad esso un valore di allontanamento, distacco, ottenendo il significato di ‘cessare di osservare le stelle a scopo augurale’ e, quindi, trovarsi nella condizione di chi non può fare altro che ‘desiderare, bramare’ qualcosa di cui si sente la mancanza. Sinceramente il significato qui mi sembra tirato proprio con le tenaglie, oltre a riproporre l’indebita intrusione del concetto di ‘guardare, fissare’. Perchè, poi, si cesserebbe di guardare le stelle? per mancanza talora di segni augurali, per cui si resterebbe a bocca asciutta a desiderare i preavvertimenti, i presagi, gli omina riguardanti il fatto, l’oggetto agognato? e da questa condizione piuttosto insolita si sarebbe prontamente forgiato il verbo in questione? Ma per carità!!! Più che a sobrio e serio lavoro etimologico qui si dà vita ad un’orgia, starei per dire, di ipotesi che nulla hanno a che fare con un approccio realistico al problema. Intendiamoci, supposizioni si possono e si debbono fare, ma che siano semplici, dirette, non pletoriche, tortuose, altamente improbabili. O forse bisogna dar retta alla proposta del filosofo Umberto Galimberti che, come riferisce qualcuno in internet, presume di trovare l’etimo della parola da un passo del De bello Gallico di Cesare in cui, dopo una giornata di battaglia, i soldati che si attardavano la notte sotto le stelle ad attendere il ritorno dei compagni dispersi, vengono chiamati desiderantes? A mio parere saremo condannati in eterno a rigirarci in preda alle smanie nel letto dei pii desideri, se non troviamo una strada diversa da quella incentrata sul termine latino sidus col suo significato di 'stella'.
Ed ora passiamo al verbo italiano as-sider-are, as-sider-arsi, che è fatto derivare da un latino parlato *ad-sider-are: le stelle, con i loro influssi malefici emessi durante una notte serena e gelida, riappaiono anche qui. Qualcuno pensa al significato di ‘stagione’ che talora sidus assume, e in particolare alla ‘stagione fredda’ che fa intirizzire le membra fino a causare la morte del corpo, se non si corre ai ripari. Ma, anche così, non ci spostiamo di un millimetro dall’ombra uggiosa della fatidica e funesta parola: sidus!
Con questa fissazione in testa potremmo scoprire lo stesso rapporto con le stelle anche nel termine tedesco er-starr-en ‘irrigidirsi, intirizzirsi, far gelare, rendere rigido’ se lo si accostasse all’ingl. star ‘stella’, ted. Stern ‘stella’. Ma in realtà esso richiama una radice molto diffusa, in varie gradazioni apofoniche, come nel ted. starr ’rigido’, ted. stier ‘fisso, immobile (dello sguardo)’, ted. stur ‘rigido, fisso, ostinato’, ingl. to stare ‘guardare fisso’, gr. stereós ‘solido, rigido, fermo’ . Se si vuole, anche l’ingl. to starve ‘morire di fame o (arcaico) freddo’, il ted. sterben ‘morire’ avrebbero potuto suscitare l’idea di una dipendenza, non dalla radice precedente, ma dagli influssi maligni delle stelle, data la coincidenza in queste lingue germaniche delle radici per ‘stella’ e per ‘rigidità’. Il fatto che in latino non si incontrano radici per ‘rigidità’ simili a quella di sidus, gen. sideris ‘stella’ non può essere considerato una prova che la radice dei tre verbi in epigrafe debba essere necessariamente la stessa di quella sconosciuta di sidus,col significato di ‘stella’. Non è una cosa affatto rara che alcune radici sopravvivano solo in alcuni termini tra tutti quelli che si potevano incontrare in una fase precedente della lingua.
A questo punto, a mio parere, conviene spiegare perchè si hanno queste coincidenze fra i due concetti di ‘rigidezza’ e di ‘stella’, apparentemente estranei l’uno all’altro. La stella agli occhi dell’uomo preistorico non può essere apparsa che come una luce, una fiammella tremolante nell’oscurità della notte, attingendo così al concetto primordiale di 'forza, emanazione, tensione' e venendo a coincidere col concetto di 'forza, tensione' che sta dietro a quello di rigidità. I termini lat. stella (da precedente *stelna ‘stella’), ted. Stern ‘stella’, ingl. star ‘stella’ si possono ricondurre ad una radice indoeuropea ster ‘spargere’, concetto affine a quello di ‘stendere, tendere’. Sicchè si può fare riferimento anche al lat. stern-ere ‘stendere, spargere, spianare, ecc.’ anche perchè io non condivido l’opinione comune che le forme Stern, star, stella siano derivate dal gr. (a)-ster ‘astro, stella’ mediante caduta della presunta vocale prostetica –a-. Si incontrano in greco termini come tér-as ‘astro, stella’, teírea da teír-e(s)a ‘astri’ che fanno pensare a termini formati attraverso l'inversione delle due componenti di as-ter: la –a- iniziale della parola non sarebbe così una comoda vocale prostetica, ma parte integrante di una radice as,os, us col valore di ‘luce, fuoco’ di cui si hanno diversi riscontri. L’altra componente –ter credo possa essere accostata,ad esempio, al lat. torr-ere ’essere ardente’ e al nome della dea buddista Tara dal significato di ‘stella’.
Se ora riflettiamo un po’ sulla radice sopra citata ster ‘spargere’ comparandola con quella di sidus, gen. sider-is ci accorgiamo che basta spostare l’accento di questa parola dalla terzultima alla penultima per ottenere un termine molto simile a ted. Stern ‘stella’, con caduta della vocale –i- protonica, e cioè s(i)dèr il quale, subendo il normale assordimento della dentale sonora –d- darebbe in germanico esattamente la forma ster, variante di ingl. star ‘stella’ e di sscr. strī ‘spargere’: il che mi fa concludere che la presunta oscurità dell’etimo della radice di lat. sidus 'stella’ è dovuta alla nostra insufficiente perspicacia che ci impedisce di scorgere in Stern una semplice variante di sidus, gen. sideris da non collegare con gr. as-tér. Il rotacismo del gen. sider-is rispetto al nomin. sidus non è dovuto, come ho sostenuto altrove per altri casi, ad un fenomeno di trasformazione ma di sostituzione di forme diverse preesistenti.
Una volta convinti di quanto sopra, diventa estremamente semplice interpretare i verbi in epigrafe come derivanti dalla radice –sider- con valore di ‘tensione, estensione, spargimento, ecc.’. In effetti il con-sider-are può essere letto come un ‘rivolgere l'attenzione, l’intenzione a qualcosa’, il de-sider-are si chiarirebbe come un ‘tendere verso qualcosa, bramarla’ o come ‘studiarla, esaminarla, ricercarla (significato attestato nei classici, che richiama in sostanza il precedente considerare)’ con il prefisso de- probabilmente intensivo, senza tutti quei contorcimenti mentali di cui abbiamo parlato sopra, e infine l’as-sider-are, as-sider-arsi dal lat.*ad-sider-are si configurerebbe semplicemente come un ‘tendersi, irrigidirsi’ tipico del rigor mortis, che interviene dopo il decesso, in specie quello causato dal freddo.
Per approfondire un po’ il discorso mi pare si possa sostenere che la radice sider potrebbe essere intesa come ampliamento della più nota radice diffusa in area indoeuropea di lat. sid-ere ‘porsi a sedere’ e lat. sed-ere ‘star seduto’, radice che all’origine doveva contenere il significato di ‘spingere, tendere, muoversi’: quanto a ‘sedere’, il movimento è diretto verso il basso. Dico questo perchè in inglese il verbo to set ‘porre, stabilire, ecc.’, che fa parte della famiglia dei precedenti verbi latini, rivela nella sua natura profonda il significato di ‘muoversi, dirigersi’ come nella frase the current sets to the north ‘la corrente si dirige verso nord’ ,e anche il significato di ‘diventare rigido, rappreso, denso’ in cui riappare quella ‘tensione’ che può in concreto tramutarsi in ‘irrigidimento,assideramento’, come abbiamo visto sopra per sider. L’it. sido (lat. sidus) ‘freddo intenso, ghiaccio’ richiama la rigidità dell’assideramento come d’altronde il lat. sideratione(m) che indica un colpo apoplettico o qualsiasi paralisi improvvisa di uomini piante e animali con un irrigidimento di organi diversi o una bruciatura di rami, foglie che indurisce la parte colpita.
L’it. strazio, con la sua pronuncia tenue della –z-, potrebbe essere l’esito di lat. s(i)d(e)ratio, nomin. del precedente sideratione(m), con la caduta delle vocali protoniche. Il lat. (di)stractio ‘tirare da una parte e dall’altra’, da cui si fa derivare il termine, avrebbe dovuto produrre una pronuncia intensa della –z- come nell’it. distrazione con la -z- pronunciata come doppia.
Anche il greco può aiutarci a definire il senso della radice in questione con l’espressione pindarica sidaro-khármas (P.2,2) usata in riferimento ad un cavallo ‘esultante (-khármas) nella (o della) armatura (sidaro-)’ secondo il vocabolario del Rocci, ‘combattente col ferro’ secondo quello di Gemoll. La stessa incertezza della interpretazione ci dice che si tratta di locuzione molto antica che va intesa, a mio parere, col metodo da me elaborato della ripetizione tautologica. I due membri del composto hanno lo stesso significato e pertanto, siccome quello di khármas è noto, sidaro- (var. dorica di sidero-) non farebbe che ripeterlo. Si tratterebbe quindi di cavallo ‘esultante’ cioè ‘generoso, battagliero, focoso’. In questo caso sidero- sarebbe da avvicinare alla radice su menzionata di sidus, gen. sideris ‘stella’ ed esprimerebbe in pieno tutta la ‘tensione’, la ‘forza’, il ‘fuoco’ di cui è carica anche in latino, come abbiamo visto.
Anche l’espressione omerica (Il. XXIII, 177) relativa al ‘fuoco’ appiccato da Agamennone alla pira di Patroclo, e cioè en dè purós ménos êke sidéreon ‘e poi appiccò il fuoco, violento, indomabile’ ci aiuta a chiarire meglio la questione. Letteralmente l'espressione suona ‘appiccò la forza, furia (ménos) ferrea (sidéreon) del fuoco (purós)'. E’ chiaro che sidéreon va inteso metaforicamente come ‘duro, crudele, indomabile’ ma, anche così, resterebbe sempre in bocca il retrogusto di un paragone infelice, in cui la mobile e vivace forza del fuoco viene definita con un aggettivo relativo ad un metallo solido e duro. A me pertanto non dispiacerebbe vedere in filigrana ancora operante in questo termine la sua forza o vivace mobilità primigenia non ancora concretizzatasi nell’inerte, rigido e pesante metallo.

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