venerdì 17 settembre 2010

Fonte "Cantu Riu" di Sant'Anatolia-Ri ed altre fonti

Sarebbe l’unica fonte del paese, abbondante d’acqua, come apprendo da un sito internet, anche se non molto lontano dall’abitato dovevano sgorgare altre rigogliose sorgenti ora captate da un acquedotto. Questo idronimo è abbastanza curioso e perciò interessante: sembra derivare il nome da quello della vallata che dal paese raggiunge il fiume Salto e nella quale andava a perdersi l’acqua della fonte. Gli abitanti del luogo cercano di interpretare il nome dandone inevitabilmente spiegazioni banali come (valle) accanto al rio, non si capisce bene se in riferimento a questo rigagnolo o alla corrente del fiume Salto.
A me sembra evidente che la designazione dovette riferirsi, all’origine, alla copiosa fontana e al rigagnolo da essa formato per passare successivamente ad indicare tutta la zona circostante, come spesso avviene. Ma, non deve nemmeno ingannarci il valore di ‘ruscello’ che oggi siamo soliti dare alla parola rio. In epoche preistoriche esso poteva indicare, a quanto pare, qualsiasi corso d’acqua e quindi anche quello costituito da una sorgente: in altri termini la parola poteva essere benissimo un sinonimo di 'fonte, sorgente' come del resto attesta la Fonte Rio nel non lontano paese di Antrosano-Aq. ma poteva servire anche ad indicare un ‘fiume’ vero e proprio come nello spagnolo rio. In toponomastica sono frequenti queste inversioni dei significati dei nomi come nel caso della fonte del territorio di Aielli-Aq, presso il Fucino, chiamata Fiumë ‘Natolia di cui ho parlato altrove e il cui etimo è da ricondurre al gr. ana-tolé ‘sorgente’, che avrà quindi dato il nome anche al paese di Sant’Anatolia. D’altronde il significato etimologico di lat. flu-men ‘fiume’, come quello di lat. ri-vu(m) ‘ruscello’ indica solo l’azione del ‘fluire, scorrere’ senza specificare se si tratta dell’acqua di un ‘fiume’, di un ‘rigagnolo’ o di una ‘fonte’. Il che mi fa sospettare che queste parole che consideriamo derivate dal latino siano in realtà appartenute, magari anche nella preistoria, a parlate italiche che ne avevano elaborato un significato diverso da quello latino, pur partendo dal significato di base di ‘scorrere’. E’ interessante ricordare che nel mio paese di Aielli correva in passato nella bocca delle persone anziane una storiella secondo la quale una certa donna chiamata ‘Natolia (Anatolia) perse un oggetto, nelle risorgive chiamate Surièndë (Sorgenti) a qualche chilometro a nord del paese, e lo ritrovò appunto presso la fonte Fiume ‘Natolia a 7-8 km di distanza, nel piano adiacente all’alveo dell’ex lago Fucino. Era pertanto credenza diffusa che sotto il paese, a partire dalle Surièndë, scorresse un fiume le cui acque riaffioravano nella fonte Fiume ‘Natolia. Questa storiella direi che sia da manuale perchè, come si può agevolmente notare, essa risulta imbastita tutta con le parole dei toponimi sopra citati. E’ infatti evidente che la connessione tra il nome della donna e quello della fonte omonima nonchè quella tra le due ‘fonti’ o ‘sorgenti’ ad essa collegate si basa tutta, oltre che sulla coincidenza dei significanti, anche su quella del loro significato etimologico di ‘fonte, sorgente’, significato che doveva essere noto a coloro i quali, in epoche antichissime, diedero l’avvio a questo aneddoto. Si direbbe che la fantasia, cui troppo facilmente si ricorre in casi simili per spiegare fatti e nomi altrimenti incomprensibili, c’entri ben poco, perchè essa direi che si limiti a prendere atto della realtà linguistico-toponomastica esistente e ad elaborarne, anche se nei modi inverosimili propri del mito, racconti che erano già tutti in nuce inscritti in essa. Sono pertanto fermamente convinto che, come che siano le letture a volte complesse che dei miti danno gli studiosi, essi, i miti, si alimentano comunque sempre delle parole che si trascinano dietro dalla notte dei tempi e che si prestano, proprio per questo, a continue reinterpretazioni e rietimologizzazioni che allargano il tessuto dei relativi racconti, col susseguirsi nel tempo e nello spazio dei codici linguistici con cui via via i toponimi e i miti connessi vengono riletti, riveduti, ristrutturati o ampliati. Qualcosa di simile sosteneva Max Müller, grande filologo e filosofo tedesco dell’Ottocento, a proposito dei miti che sarebbero stati prodotti da una sorta di malattia del linguaggio contrariamente a quanto ha sostenuto, successivamente, il linguista britannico John Ronald Tolkien il quale riserva un ruolo importantissimo proprio alla fantasia.
Un’altra difficoltà l’idronimo la presenta nell’ordine delle parole che lo compongono: l’ordine normale, secondo lo schema solito dei toponimi, dovrebbe essere dato dall’appellativo generico (riu) seguito dal nome proprio (Cantu). Ora, qui i casi possono essere diversi: può darsi che l’idronimo dialettale mantenga la libertà che si poteva avere in latino circa la disposizione del nome proprio e quello generico dell’appellativo geografico, oppure bisogna supporre che per lunga pezza e prima dell’arrivo del latino in loco, la parlata italica di Sant’Anatolia avesse avuto come nome comune per ‘fonte’ la parola cantu e che Riu fosse il nome proprio della fonte in questione di cui magari non si conosceva il significato nè tanto meno l’etimo. Un’altra possibilità è data dalla fusione già ab antiquo di due termini tautologici per ‘fonte’ in uno, con la produzione di un idronimo divenuto probabilmente opaco (per buona parte delle generazioni susseguitesi nel paese) come Canturiu o simili, reinterpretato successivamente come Cantu riu dall’etimologia popolare la quale, come è noto, è un tentativo ingenuo di riappropriarsi del significato etimologico delle parole..
Dopo aver scritto quanto sopra sono andato a cercare con Google qualche nome simile di fonte e grande è stata la mia sorpresa quando mi è apparso il nome di un ristorante di Borgorose, paese vicino a Sant’Anatolia, che suona Fonte Canteri, nome di una fonte nei pressi. Probabilmente l’accento tonico della parola cadrà sulla terzultima sillaba, ma se anche cadesse sulla penultima, non potrebbe minimamente scalfire l’evidenza che il nome della fonte Cantu Riu, che voleva darci filo da torcere, è una chiara reinterpretazione di un precedente Canturi oppure Canteri, probabilmente già diventato Cantum ri(v)u-m oppure Cantem ri(v)u-m, nelle rispettive forme latine.
A questo punto mi sembra utile ricordare che qántaru o cantaru è un appellativo sardo per ‘fonte’ e quindi è lecito supporre che il termine abbia avuto a che fare, in epoche lontanissime, con i nostri idronimi che, come gli altri, riportano quasi sempre al concetto di ‘acqua’. Termino citando il bel nome della fonte Nembe di Torano, paese vicino a quelli nominati precedentemente, che suscita nella mia mente assetata vanamente di bellezza antica, in questo scorcio afoso d’agosto, la visione della ninfa divina che ne dovette abitare le acque gorgoglianti vivificandole con la sua voce fresca e argentina, presso le quali gaie giovinette della campagna circostante, cinte di ghirlande di fiori ed erbe, mescolarono forse d’estate baci alle promesse d’amore fatte ai loro innamorati nel movimento in tondo della danza. Mi pare chiaro, infatti, come l’acqua più chiara del più chiaro fonte che l’idronimo Nembe è l’esatta resa nostrana del gr. nýmphē, normalmente ‘ninfa, giovane, sposa’ ma talora anche ‘acqua’ da cui il lat. lympha ‘acqua’. Per il passaggio da *Nymbe a Nembe si tenga presente l’it. nembo dal lat. nimbu(m), il dialettale lengua dal lat. lingua(m) ‘lingua’. La labiale aspirata -ph-, mutata in italiano in spirante sorda –f-, nei nostri dialetti arcaici seguiva la sorte di quest’ultima che si trasformava in labiale sonora –b- quando era preceduta da una nasale –m- oppure –n-, come in cumbëssórë per ‘confessore’, ad esempio. L’area linguistica in cui rientrano i paesi di cui sopra è quella sabina che è alquanto diversa da quella marsicana fucense la quale rientra in gran parte nell’area sannitica soprattutto per il trattamento delle vocali finali atone che tendono a ridursi a vocale indistinta, come del resto anche le altre se non accentate, ma il fenomeno della resa in labiale sonora della spirante sorda, in quella condizione, dovrebbe essere identico nelle due aree.
La martire cristiana santa Ninfa, il cui culto è diffuso soprattutto in Sicilia, naturalmente non può non compiere, dato il significato originario del nome, il miracolo della pioggia ristoratrice di piante, uomini ed animali dopo un periodo di siccità, secondo la tradizione. Come si vede, dalle mie considerazioni si desume un gioco ad incastro perfetto; il quadro che ne risulta non può essere dovuto al caso nè, tanto meno, ad arzigogolamenti improbabili come forse continuano a pensare gli studiosi del settore, data la linearità, la semplicità e l’eleganza (sia detto senza ombra di iattanza ed autoincensamento) delle soluzioni proposte.
Ho pubblicato quest’articolo nel giornale Terre Marsicane presente in rete, e una gentile lettrice mi ha fatto notare che in realtà la fonte Cantu Riu è senza nome proprio, essendo essa chiamata Fonte Abballe (fonte di sotto) rispetto ad altra fonte chiamata Fonte Ammonte (Fonte di sopra). La designazione Cantu Riu sarebbe poco esatta in quanto derivata dall'espressione ‘N cantu riu (accanto al rio), contrada situata ai lati del rigagnolo generato dalla fonte . In base a queste notizie mi pare si possa sostenere che le due fonti senza nome proprio in realtà in antico lo dovevano avere ma probabilmente da un lato Fonte Ammonte lo avrà ceduto al relativo centro abitato sorto nei dintorni (Anatolia), dall’altro la Fonte Abballe potrebbe averlo ceduto alla contrada ‘Ncantu Riu (accanto al rio), nome derivato per etimologia popolare da un originario idronimo Cantu-ri o simile, di cui si è parlato sopra.
Un altro lettore mi ha informato che l’idronimo Cantero è molto diffuso nei paesi di Borgorose, Pescorocchiano, e in tutta la dorsale appenninica, confermando così la mia supposizione. E’ a mio avviso da scartare la proposta del lettore di accostare quest’idronimo al greco kántharos ‘cantaro’, recipiente a due manici per contenere magari l’acqua. Non vedo alcuna difficoltà a tirare in ballo, come ho fatto sopra, il sardo qántaro ‘fonte, sorgente’.