lunedì 14 giugno 2010

Commento ad un saggio di Ottavio Lurati sugli stereotipi relativi a Francesi, Turchi ed Ebrei

In merito all’articolo “Miti e polemiche su nomi di luoghi e di nazioni/popoli. Il caso di Francesi, Turchi ed Ebrei” di Ottavio Lurati apparso in RIOn, XVI (2010), 1, pp. 45-57, avrei da fare le seguenti osservazioni:
1) Il Lurati insiste sulle “sedimentazioni eterostereotipe” la cui presenza si registrerebbe anche nelle locuzioni idiomatiche e nei motti riguardanti altri popoli come nell’espressione far Francia ‘patire la fame’, attestata in Sicilia e, in forma un po’ diversa, nel cantone Ticino (emm fai tanta da quela Francia! ‘abbiamo patito tanto di quella fame!’), ma a me sembra, prove alla mano, che le cose stiano in altro modo, almeno nella maggior parte dei casi: sono antichissimi significati soggiacenti alla forma apparente della locuzione ad aver dato origine alla stessa, prima che finisse di compiere l’opera l’intervento dell’ironia o sarcasmo che sotto tutti i cieli e in ogni tempo investono costumi, modi di fare e pensare di quelli che, in una sola parola, possono essere definiti come “diversi”.
Il fatto è che nel Vocabolario abruzzese di Domenico Bielli , Adelmo Polla editore, Cerchio-Aq, 2004 (ristampa della edizione Nicola De Arcangelis, Casalbordino-Ch, 1930) si incontrano termini come il verbo francarsë ‘avventarsi per aggredire, mordere, ghermire; saltare addosso; sopraggiungere di molte faccende’ e l’aggettivo franchë ‘franco’ che ha significati particolari come nell’espressione è ffranch’ a lu magnà ‘ha gran desiderio di mangiare’. Ognuno può notare che questi significati, del verbo e dell’aggettivo, si ritrovano ad esempio nel lat. appetitu(m) ‘desiderio, brama, assalto’ ed è quindi logico pensare che la “Francia” dell’espressione di cui sopra possa essere nient’altro che un antichissimo nome astratto della radice, e cioè un semplice *frankya , ma col significato di ‘fame, appetito’ lontano le mille miglia da quello di “Francia” che è andato a sovrapporvisi. Si fa per dire, perchè se la Francia trae il nome dai Franchi presso i quali frank significava ‘libero’ allora si ristabilisce per questa via un collegamento innegabile al fondo dei vari significati della radice che, pure, in superficie sembrano così distanti. L’essere ‘libero (franco)’ all’origine equivaleva probabilmente ad essere ‘mobile, agile, svelto, scattante’ pronto ad assalire o avventarsi più o meno ostilmente verso qualcosa. Inoltre, vista la somiglianza tra il significato della radice di franco e quello di lat. appetitu(m)< ad-pet-ere si deve desumere, a mio parere, che l’idea di fame, appetito si sia evoluta da quella sovraordinata di 'muoversi, tendere(con desiderio), lanciarsi, ecc.’.
2) Entro questo largo spettro di significati pronti a colorirsi di sfumature anche notevolmente diverse tra loro può ben trovare posto la maggior parte delle altre espressioni idiomatiche citate dal Lurati in merito a questa radice di “franco” e a suoi derivati. Ecco che arriva la Francia ‘ecco la mia disgrazia’, locuzione che la gente semplice di Modena e contado usava a designare la ‘moglie’ non sarà un ricordo delle prepotenze dei soldati francesi giunti in passato nel territorio modenese come spiegano –dice il Lurati- alcune delle persone interpellate (e come potrebbero queste persone semplici avere il modo, la forza di contrastare quello che l’espressione sbandiera, anche se allusivamente, in superficie?) ma più probabilmente, secondo il significato etimologico, ‘qualcosa che si abbatte come una furia distruttrice’, significato che va a pennello per il bergamasco Franza ‘far piazza pulita’, ‘distruggere raso terra’ il quale così fa benissimo a meno anche del ricordo, supposto dubitativamente dal Lurati, “delle rievocazioni orali, in veglia, sulle guerre in Francia e in Fiandra”. Non bisogna lasciare da parte nemmeno le espressioni furia franzesa (lombardo) ‘furiaccia’ e avere una furia francese in cui l’aggettivo ha tutta l’aria di un rafforzativo tautologico di furia. Interessante il lombardo franzés ‘fante, pellegrino’ che convalida il significato di ‘movimento’ della radice, riscontrabile secondo me in vari toponimi come Frank-furt (Germania), forcella Franche (Belluno), col de France (vicino a Bourg-en-Bresse), ecc.
Aver del francese, che significava ‘passare subito all’azione’, ‘far le cose con precipitazione, alla svelta’, si riaggancia senza sforzo anch’esso al concetto di “furia”.
3) Espressioni relative a malattie veneree possono essere spiegate senza ricorrere agli eterostereotipi: baron di Francia ‘malato di sifilide’ e mal francese ’sifilide’ presuppongono a mio avviso un significato estraibile dalla radice di franco il quale in lingue europee, compreso l’italiano, ritiene il valore di ‘ardito, spudorato, sfacciato’ sicchè il mal francese equivarrebbe ad un male caratteristico dei libertini o depravati e il baron di Francia corrisponderebbe ad un libertino rotto alle pratiche sessuali e agli eccessi che provocherebbero quella malattia: curioso il significato d’origine di barone ‘uomo libero’ che risulta così un rafforzamento del concetto di libertinaggio espresso dalla componente Francia. E come non vedere operante il concetto di ‘furia, foia sessuale’ dietro questo stesso termine nell’espressione a quela gh’a büi la Francia ‘quella lì ha le bolle la Francia’ detta da certi anziani di val Colla a proposito di una donna piena di voglia ed eccitata? Il ted. französische Liebe ‘fellatio’, letter. ‘amore francese’, indica la pratica sessuale considerata, soprattutto da persone con pregiudizi religiosi, segno di depravazione e sregolatezza di chi è dedito ai piaceri della carne, non necessariamente di nazionalità francese all’origine. L’americano frenchy ‘preservativo’ potrebbe alludere non tanto ad un uso dell’oggetto soprattutto da parte dei francesi quanto ad un oggetto atto a rendere liberi e immuni da eventuali contagi pericolosi. Il bacio alla francese contiene anch’esso una qualche lascivia più o meno marcata a seconda delle sue varietà.
Rientra in questo concetto di libertà e indipendenza dalle convenzioni sociali la stessa espressione francese à la française che indicava la libertà di un comportamento senza remore e regole civili come andarsene alla francese ‘andar via senza congedarsi’, espressione presente in inglese, tedesco e italiano. In questi casi, siccome talora esiste il rovescio della medaglia, come filarsela all’inglese, è più difficile stabilire se l’espressione sia frutto di ritorsione dovuta alla spinta dei suddetti eterostereotipi o se essa vada comunque spiegata diversamente. E forse una certa percentuale, sebbene ridotta, credo bisogna riservarla comunque agli eterostereotipi.
4) E’ un po’ meno agevole spiegare di primo acchito espressioni del tipo u guarda in Francia ‘è strabico’ (Mendrisiotto, 1969) e l’è un guarda in Franci ‘è uno strabico’ (Buseno, cantone Ticino). L’interpretazione propostane in forma dubitativa dal Lurati che fa riferimento alla “lateralità del territorio francese rispetto all’Italia in carte scolastiche in cui al centro campeggiava l’Italia. La Francia risultava ai margini: la si vedeva di sbieco” mi pare eccessivamente lambiccata ed artificiosa, considerato anche che tra i milioni di alunni che si sono avvicendati nelle aule scolastiche delle scuole elementari e medie di tutta Italia l’espressione in questione sarebbe venuta in mente solo ad alcuni, appartenenti ai due paesi dove essa è attechita. Mi pare più naturale supporre alla sua base un aggettivo con prefisso negativo come *in-frank ‘non franco, libero, schietto, diretto’ e quindi ‘bieco, storto, strabico’. Anche l’aggettivo schietto ritiene il significato non figurato di ‘diritto’ come nei famosi cipressi che a Bolgheri alti e schietti/van da San Guido di carducciana memoria.
Credo che quanto sopra detto sia più che sufficiente ad esprimere e corroborare il mio punto di vista in materia. Non è necessario quindi che si proceda ad un’analisi simile per le altre due voci Turchi ed Ebrei prese in esame dal Lurati, e sarebbe per me cosa molto gradita oltrechè un onore udire qualche voce degli addetti ai lavori se avessero la compiacenza di comunicarmi il loro parere al riguardo, soprattutto se discordante dal mio, sottolineando i miei punti deboli e le mie manchevolezze.

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