giovedì 1 aprile 2010

L'appellativo abruzzese "parasacche"

Nell’articolo Etimologia di finestra osservavo che il significato di superficie proteggi-sacco dell’appellativo abruzzese para-sacchë veniva a contrapporsi paradossalmente al suo significato di ‘forasacco’, con cui viene indicata in genere la nota spiga munita di ariste a forma di lancia la quale, come dice il nome, piuttosto che ‘proteggere’ il presunto sacco, lo avrebbe invece lacerato. Ma, dopo aver ben riflettuto sulla questione, sono arrivato alla conclusione che la radice che produce questi significati, ed anche altri, apparentemente irrelati, è in realtà sempre la stessa. Se si parte dall’idea di ‘tagliare, forare’ di cui ho parlato nel suddetto articolo, ci si accorge che si approda del tutto naturalmente al concetto di ‘separazione, divisione’ e subito dopo a quello di ‘discostamento, distacco, separazione, allontanamento, difesa, riparo’. A mio avviso allora dovremo considerare anche il lat. se-par-are un verbo che sfrutta la stessa idea di ‘taglio’, cominciando così a ritenere almeno problematica la sua appartenenza ai diversi composti del lat. par-are ‘preparare’, il quale, del resto, è continuato in italiano e nei dialetti da termini con significati non sempre ben armonizzabili tra loro.
Nel dialetto di Trasacco-Aq, ad esempio, la voce para, sinonimo di par-àta, significa ‘sbarramento, piccola diga (fatta in genere di sassi)’ di un corso d’acqua, ma anche ‘separazione di due litiganti che si azzuffano’, come ad Aielli-Aq. Con ciò si viene a capire che la base para, anche senza il prefisso disgiuntivo lat. se-, poteva avere il valore di ‘separazione, scissione’, Questi significati mi sembrano tutti riannodabili con quello di paratia, parete che separa locali all’interno di un’imbarcazione. Anche il lat. pari-ete(m) ‘parete’ dovrebbe, quindi, appartenere alla stessa area semantica. Il senso di ‘bloccare, fermare’ credo sia naturalmente derivato da quello di ‘sbarrare’, conseguente a quello di ‘separare’. In toscano par-are vuol dire anche ‘condurre, portare avanti, guidare (specialmente mandrie al pascolo)’. Forse quest’ultima accezione richiama quella di ‘porgere, stendere, spingere avanti’ dell’espressione parare le mani.
A questo punto non vedrei molta difficoltà nell’aggregare alla stessa radice anche quella del verbo lat. par-are ‘preparare’ che potrebbe configurarsi come uno ‘spingere, sollecitare (all’azione tempestiva)’ se si tiene presente l’avverbio gr. pároi-then ‘prima, anticipatamente’ che non può non rimandare, oltre che al gr. páros ‘prima, innanzi’, anche al gr. párai (lat. prae ’avanti, innanzi, ecc.’) variante di gr. pará ‘presso, oltre’ di cui ho parlato nell’articolo Etimologia di finestra.
Non dovrebbe essere separato dal gruppo di parole precedente nemmeno il lat. parte(m) ampliamento della radice in questione, il quale è semplicemente un ‘taglio’, una ‘sezione’ rispetto a un tutto. Il lat. partu(m) ‘parto’ (da lat. par-ere ‘partorire’) si configura secondo me come uno ‘spingere fuori’, un ‘distaccare’, un ‘prodotto’. Ma seguitando con queste connessioni dove andiamo a parare? Con precisione non lo so, ma so che questa espressione si ritrova nello sp. donde vamos a parar? e che sp. parar significa ‘andare a finire, finire’ riconfermando il connubio del significato di ‘proseguire, spingere avanti’ con quello di ‘arresto, sbarramento’.
Un’altra cosa vorrei far notare: l’etimo di it. parecchio che i più riconducono al un latino parlato *pari-culum , diminut. di par ‘pari’, nel senso di ‘doppio’ o ‘dello stesso genere’ a me pare possa avere la stessa storia di ingl. several ‘alcuni, diversi, vari, parecchi’ derivato, attraverso il francese antico, dal mediolat. se-par-ale(m),da lat. se-par-are. Se esisteva una forma volgare *par-are dal significato di ‘separare’, come risulta dal ragionamento e dagli esempi sopra riportati, allora è molto più naturale e probabile che il *pari-culu(m) che sta dietro all’it. parecchio, derivi da quella forma volgare e non da lat. par ‘pari’ il cui significato del resto mal si adatta, secondo me, a quello di parecchio. Quest’ultimo sarebbe, quindi, il risultato di un naturale sviluppo attraverso la trafila di ‘separato, individuale, diverso, vario, parecchio’.
Concludendo, mi piace ripetere quello che Einstein diceva a proposito della validità di una teoria, e cioè che essa è tanto più valida quante più numerose sono le cose che collega e quanto più vasto è il suo campo di applicazione. Nel mio piccolo mi capita quasi sempre di scontrarmi con teorie di insigni studiosi che, invece, tendono spessissimo a restringere i significati delle radici, innalzando intorno ad esse paratie insormontabili.

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