giovedì 8 aprile 2010

Il vocabolo abruzzese "befùlge" 'bifolco, bue, gufo, questuante'

Il termine bëfùlgë (cfr. nel dizionario abruzzese del Bielli le varianti befùce, befòce, befùleche, befùlge, bufòce) merita attenzione per i suoi diversi significati, e perchè costituisce certamente un cospicuo esempio della stupenda stratificazione linguistica avvenuta attraverso i millenni. Il termine l’ho tratto da un dizionarietto approntato da Fiorenzo Amiconi, ricercatore indefesso di tradizioni cerchiesi e marsicane (cfr. Fiorenzo Amiconi, Tradizioni popolari marsicane: il dialetto cerchiese, anno VII 2004, quaderno 57. Museo civico di Cerchio-Aq). L'Amiconi trae a sua volta i significati di 'bifolco, bue, gufo' del vocabolo dal Saggio di uno studio sul dialetto abruzzese di Giovanni Pansa, Arnoldo Forni Editore,1977, ristampa dell'edizione di Lanciano del 1885, p. 11. Il significato di 'questuante' è invece proprio del dialetto di Cerchio.
La parola, come mostrano i quattro significati appartenenti ad aree semantiche molto diverse tra loro, non può fare i conti col solo latino bubulcu(m) ‘bifolco, bovaro’ attraverso la variante rustica *bufulcu(m), ma deve essersi incrociato con altri vocaboli di strati linguistici anche molto più lontani nel tempo. A me pare chiaro che i significati di ‘bue’ e ‘gufo’, contenendo il concetto di fondo di ‘animale’ secondo la mia teoria linguistica, presuppongono un termine composto di due membri tautologici del tipo *bub-ulcu(m). Il primo deve appartenere all’area semantica di ‘bue’ (cfr. lat. bos, bov-is 'bue' ) incrociatasi con quella di lat. bubo,-onis ‘gufo’, tosc. bufo ‘gufo’, lat. bufo,-onis ‘rospo’; il secondo mi pare la copia quasi perfetta di latino tardo ul(u)cus, ul(u)ccus ‘uccello notturno, allocco’. Nel vocabolario del Bielli si incontra anche la forma bufùce 'specie di gufo' da riallacciare alla parola bifolco. Molto interessante è l'appellativo omerico hélik-es riferito formularmente ai buoi. I linguisti in questo caso si trovano completamente in balia delle onde senza una bussola che li guidi e si sforzano pertanto di trarre un senso più o meno accettabile dalla radice dal significato di 'avvolgente, a spirale', e così alcuni propongono l'interpretazione di 'tondi, pingui, lucidi', altri di 'dalle corna ritorte', altri di 'dai curvi piedi', altri ancora 'dall'andatura avvolgente'. La mia idea che si tratti, invece, di una variante della radice di latino tardo ulucu(m) 'uccello notturno' dalla stessa struttura consonantica e inserita nel composto abruzzese bef-ùlge 'bue', potrebbe al limite anche essere falsa, ma di sicuro essa segue linee teoriche che mi paiono funzionare. Si trattava quindi di un antico vocabolo per 'buoi' finito col diventare già in Omero un apparente, inspiegabile o artificiosamente spiegabile aggettivo. Nel canto XXIII dell'Iliade l'aggettivo si incontra insieme con un altro che indica apparentemente i 'piedi' dei buoi. L'emistichio finale del v. 166, infatti, suona eili-podas helikas bus e viene solitamente tradotto 'buoi dai piedi e (dalle corna) ricurve'. La forma eili-podas risulta un accorciamento di eliko-podas 'dai piedi (-podas) ricurvi (eliko-)' e per me si tratta sempre dello stesso concetto di 'bue' ricucinato in diverse forme diventate aggettivi e trascinatesi tradizionalmente come attributi, per così dire fissi e formulari, di questi animali. Che l'elemento -pod-as, acc. pl., originariamente fosse altro nome o reinterpretazione di altro nome per 'bue' lo suggerisce il greco moderno bodi 'bue'. Per la radice eliko- è utile un confronto col ted. Elch 'alce', grosso quadrupede con corna palmate, diffuso nelle regioni fredde dell'emisfero boreale, l'a. alto ted. elaho 'alce', sved. elg 'alce', lat. alces 'alce'. Il problema si complica con gli altri due significati di ‘bifolco’ e ‘questuante’ . Per il primo ci potremmo accontentare dell’etimo vulgato che insiste su un primo elemento bu- rispondente al lat. bos, bov-is ‘bue’, e su un secondo elemento variamente proposto (fatto risalire in genere al greco) e interpretato come ‘custode, incitatore (di buoi)’. Io, tenendo sott’occhio anche l’altro significato di ‘questuante che la mattina della festa religiosa va alla ricerca delle ultime offerte in denaro con un fazzoletto annodato ai quattro angoli’ individuerei in bi-folco una seconda costituente da avvicinare alla radice del lat. fulc-ire ‘puntellare, sostenere’ ma anche ‘calcare, premere’, verbo che quindi evidenzia un significato di fondo come ‘premere, urgere, incalzare, spingere’: quale altro significato potrebbe essere più appropriato di questo, senza che si debba scomodare il greco, per designare il ‘bifolco’, l’aratore che incita i buoi innanzi a sè, e nel contempo il ‘questuante’ la cui funzione è esattamente la medesima, solo che la pressione da costui esercitata è rivolta alla gente per farle offrire qualche spicciolo e non ai buoi? Resta il problema di bu-, bi- che viene comunemente inteso come radice di ‘bove’, ma che, sempre in base alla mia teoria, dovrebbe essere una radice che si incrocia certamente con quella di ‘bue, bove’ ma che, originariamente, doveva avere lo stesso significato della seconda componente –folco. A questo punto non posso fare altro che additare, come antico precedente del primo membro di bi-folco, particelle intensive come greco bu- e ted. be- che ha varie funzioni tra cui quella rafforzativa. Il ted. be-folg-en ‘seguire, eseguire', molto simile formalmente a bi-folco potrebbe essere stato un suo remoto parente nel caso di un probabile suo altro senso di ‘inseguire, perseguire, cercare di raggiungere, corteggiare, implorare’(uno dei significati antiquati di ingl. follower ‘seguace’ è ‘spasimante, ammiratore’), significato affine a quello di ‘questuante’ che etimologicamente rinvia alla radice del lat. quaer-ere ‘cercare, andare in cerca, domandare’. Ma è da tener presente anche il ted. bei-folg-en 'tener dietro subito', quindi 'essere prossimo, incalzare'.
Un passo del canto XXIII (vv. 130-132) del Paradiso di Dante potrebbe essere inteso diversamente da come viene solitamente spiegato, se si tiene a mente uno dei significati del cerchiese befùlghe ossia 'bue'. Il passo è il seguente: Oh quanta è l'ubertà che si soffolce/ in quelle arche ricchissime che fuoro/ a seminar qua giù buone bobolce. Dante si riferisce qui alla ricchezza spirituale contenuta in quelle arche (le anime dei beati) che furono in terra, intendono alcuni critici, buone seminatrici della parola di Dio. Le bobolce rappresenterebbero una forma femminile da lat. bubulcus 'bifolco'. Altri preferiscono chiamare in causa il termine dialettale dell'Italia settentrionale biolca, bubulca, bibulca, una misura di terra corrispondente a quella lavorata da una coppia di buoi in una giornata, intendendo che le anime dei beati sono state un buon terreno da coltivare, e fanno riferimento alla nota parabola evangelica del seminatore. Una terza ipotesi potrebbe essere quella che, traendo lo spunto dal significato di 'bue' del termine, paragona le anime a dei buoi che hanno duramente e proficuamente arato il terreno per una buona seminagione destinata a dare frutti spirituali abbondanti.

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