domenica 26 luglio 2009

Il nome del paese di Cerchio

Già molti anni fa l’appassionato e benemerito ricercatore Fiorenzo Amiconi di Cerchio , insofferente del significato superficiale di Cerchio che giustamente, secondo lui, sembrerebbe nome abbastanza ridicolo per designare un paese, ebbe l’intuizione di accostare il toponimo a quello di Crecchio-Ch, visto anche che diverse lettere indirizzate a quel paese finivano con l’approdare a Cerchio. Crecchio viene accostato solitamente ad italico Ocriculum (cfr. Otricoli-Tr) , diminutivo di ocris ‘colle, monte, punta’.
L’amico Fiorenzo ha secondo me colto nel segno per quanto riguarda il significato soggiacente di Cerchio ma non per quanto riguarda la parola all’origine del toponimo. A Trasacco infatti ricorrono (o ricorrevano) parole come chìrica ’ tonsura, cresta del gallo o gallina o d’altro animale come l’upupa, cima di alcune piante, ciuffetto ribelle(cfr. aiellese jjìrga,cerchiese girga) al culmine della nuca’, o come chiricùzza ‘punta (di albero,campanile, ecc.)’, riconfermate da verbi denominativi come schiricà oppure schiricarà dai signif. quasi simili ‘ fare la tonsura ad un religioso, capitozzare, tagliare la cima a qualche cosa’[1]. La parola merita qualche riflessione. A prima vista saremmo tentati di ricondurla al lat. eccl. clerica ‘chierica’ ma gli altri significati che mi sembrano preponderanti rispetto a ‘chierica’ richiedono particolare attenzione e una spiegazione diversa. Anche Quirino Lucarelli, nell’opera testè ricordata, accenna ai greci kara’ testa’ e keras ‘corno’, termini con numerosi riscontri in area italica, celtica, germanica e indiana. E in effetti non mancano nemmeno riscontri toponomastici relativi a rilievi del terreno come Colle San Quirico (Ortucchio), il promontorio Circello (lat. Circeii) nel Lazio e i vari Kirch-berg in area germanica che non deriveranno tutti il loro nome ( Monte della Chiesa) dalla presenza di chiese ivi erette magari solo a partire dal medioevo, ma ritenevano già ab origine quella denominazione. Anche la accennata voce aiellese jjìrga mi sembra un derivato da un antecedente chirica piuttosto che da clerica, anche se non è escluso un influsso di quest’ultimo termine soprattutto a determinare la mancata palatizzazione del nesso chi- di 'chirica', fenomeno abbastanza raro nei nostri dialetti. Anche la trasformazione di chi- in jji- mi pare che trovi esempi simili in toponimi come Da Jjupre che in celanese suona Cupre (Cupoli nelle carte IGM),come I Jute, un’ansa del monte Secine, vivo anche come voce del lessico aiellese col significato di ‘gomito’, molto probabilmente dal lat. cubitum, passato attraverso *cuvete,*cute(cfr. franc. coude ‘gomito’), jute. Anche le voci jalle ‘gallo’ , accanto a valle ‘gallo’, e jatta ‘gatto’ sembrano attestare lo stesso fenomeno di palatalizzazione delle velari /k/ o /g/ con esito corrispondente a semivocale /j/. La voce trasaccana chirica, nel significato di ‘cresta’ , risponde a quella che in altri dialetti marsicani, come l’aiellese, suona chicchera ’cresta del gallo o gallina’ usata anche in senso metaforico ( te’ ‘na chicchera!). Ora, questa chicchera, anch’essa senza palatalizzazione, potrebbe essere la forma metatetica di trasaccano chirica e la loro mancata palatalizzazione troverebbe ancora una spiegazione nell’incrocio col termine onomatopeico chicchirichì riferito al canto del gallo. In toscano chicchirichì vale ‘gheriglio della noce’, per via della sua forma frastagliata che richiama - dicono i linguisti- quella della ‘cresta’ del gallo. Ma forse qui subentra anche l’it. chicco di incerta origine, per me semplice variante di cocco. Senonchè mi sembra più naturale sostenere che la voce chicchera nonché il toscano chicchirichì si allineino con altre di simile struttura come aiellese cucher-uzze ‘cima di monte’, sardo cùccuru ‘cima di monte’, basco kukur ‘pettine’, ampliamenti della base paleoeuropea kukka ‘punta, vertice’ da cui l’it. cocca ’angolo del fazzoletto, tacca della freccia’ e l’it. coc-uzzolo.
L’origine remota, dunque, del toponimo ‘Cerchio’(dial. Circhje) ha quasi sicuramente a che fare con un termine per ‘colle’ e non è esclusa, almeno in linea teorica, la possibilità che quel nome si fosse incrociato con altri dando origine al culto di qualche divinità sulla sommità dello stesso. Quale? Si favoleggia della maga Circe, figlia del Sole, implicata anche nella saga della dea Angizia di Luco dei Marsi. Ora, senza ricorrere a lunga serie di collegamenti, mi pare abbastanza chiaro che dietro quel nome dovesse nascondersi anche un significato di ‘sole, luce, ecc.’: basti l’accenno al greco kirke ‘sparviero’, greco kirkos ‘ falcone’, messaggero veloce di Apollo, dio del sole (cfr. Od. XV, 526) e al termine rom (zingaro) kerca ‘cero, lumino’. Ma la cosa interessante, sempre in linea teorica e in assenza di riscontri più diretti, mi sembra la possibilità di collegamento di questa presunta divinità col culto di Hercules attestato abbastanza spesso nella Marsica , la cui origine è riportata dall’archeologo Cesare Letta[2] ai contatti avutisi, per via della transumanza, con la Campania greco-etrusca prima della romanizzazione dei Marsi. Ora, senza minimamente scalfire le osservazioni dell’illustre studioso in proposito, io sarei soltanto dell’idea che, dietro questo culto di Hercules, si celasse all’origine qualche altra divinità indigena che andava a combaciare con quella più nota di origine greco-etrusca. Un indizio, labile quanto si vuole, potrebbe essere offerto proprio dalla forma Hircul-(non Hercul-), comparente in un’epigrafe ritrovata a Trasacco, che suscita la perplessità del Letta il quale però risolve la questione in base a considerazioni di tipo linguistico che qui non riporto, pensando che si tratti di errore grafico: il fatto potrebbe invece essere ritenuto normale se si presume che si trattava, appunto, di divinità di origine diversa da quella indicata col nome greco-etrusco. L’iscrizione fa il paio con un’altra, sempre dal territorio di Trasacco, dedicata ad Herclo Iovio, con sincope della /u/ di Herc(u)les. La forma Hircol- dell’altra iscrizione potrebbe, a mio avviso, essere accostata al nome originario del paese di Cerchio, e cioè Circul-um, supponendo una trasformazione della /C/ velare iniziale in spirante /H/ favorita anche dall’incontro col nome greco-etrusco-latino di Ercole. Se si tiene presente il fatto che Ercole era rappresentato con una robusta clava, che arbos Herculea fu da Virgilio chiamato il ‘pioppo’, e che le spoglie di Acrone, re dei Ceninensi, chiamato Herculeus da Properzio e ucciso da Romolo, furono dedicate a Giove e portate presso una quercia sul Campidoglio, non si potrà passare sotto silenzio il dial. cercula ‘quercia’, albero sacro a Giove, il quale ci ricollega, appunto, allo Herclo Iovio precedente. La trasformazione della gutturale iniziale in spirante è riscontrabile in qualche parola come cura ‘timone dell’aratro (cfr. lat.curis ‘asta,lancia)’ nel dialetto cerchiese e di Rocca di Botte, ad esempio, a cui corrisponde l’aiellese ura del medesimo significato che presupporrebbe, quindi, un precedente *hura, con la spirante iniziale. Anche i nomi dei leggendari Horatii e Curiatii dell’antica Roma mi pare soggiacciano allo stesso fenomeno. I termini quercus ‘quercia’, e i dial. cercula e cerqua mi sembrano ampliamenti di cerrus ‘cerro’, specie di quercia. Essi andavano ad incrociarsi, ad esempio, col greco keryk-s ‘messaggero, araldo’, anch’esso sacro a Giove: la radice, in questo caso, evidentemente è variante di quella di Circe di cui ho parlato prima. Anche in una filastrocca popolare, che da ragazzi eravamo soliti ripetere nelle rigide giornate invernali ad Aielli, si fa riferimento al sole e ad una vecchia che si troverebbe infreddolita su una quercia ( Isce Sòle sande/ i scalla tutte quande/ scalla quéla vecchia che sta 'n-gima a nna cèrcula…). Acrone era chiamato Herculeus perché anche il suo nome andava a combaciare col lat. acer ‘acero’, ted. Ahorn ’acero’, ingl. acorn ‘ghianda’, frutto della quercia.
Ultime osservazioni. Le due iscrizioni di Trasacco sono state ritrovate una sul Colle la Mària (sulle carte IGM figura come Colle S. Mar-tino) e l’altra sul Colle Mariano o Maiorano. Il ricorrere di nomi con la stessa radice può far pensare che essa contenesse una motivazione arcaica comune non solo per l’idea di ‘colle’ ma anche per il valore originario di Hercoles o Hircoles, che era venerato sulle loro sommità. Sant’Isidoro (in dial. Sande Sidore : cfr. lat. sidus, -eris ‘stella,sole’) con la sua sterrazza (bastone terminante con lamina appiattita metallica, atta a detergere la terra umida appiccicatasi all’aratro o altri strumenti di lavoro, il cui nome potrebbe nascondere qualcosa come il lat. sideratio ‘colpo di sole’) può rappresentare, a Cerchio, l’ultima epifania vivente di quell’antichissima divinità. Ma solo qualche fortunato ritrovamento epigrafico-archeologico potrebbe convalidare queste mie supposizioni.


[1] Quirino Lucarelli, Biabbà A-E, Centro Studi Marsicani, Avezzano-Aq, 2003, p.487. Biabbà Q-Z, p. 243.
[2] C. Letta-S. D’Amato, Epigrafia della Regione dei Marsi, Cisalpino-Goliardica, Milano, 1975, p. 225 ss.

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